La giovinezza non è solo un periodo della vita, è una condizione esistenziale: è la capacità di immaginare e generare futuro sempre e di nuovo anche a fronte degli scacchi della storia, dei lutti inflitti dalla vita, degli ostacoli posti dal destino e dalla necessità, malgrado la routine e i condizionamenti sociali, malgrado quella sottile inerzia che fatalmente sopraggiunge con gli anni assieme alla tentazione di mollare, di rassegnarsi, di pensare che in fondo è tutta una fregatura. Essenzialmente è questa la tesi, forte e ambiziosa, di Un’estate invincibile. La giovinezza nella società degli eterni adolescenti ( Edizioni Bietti) il libro di Riccardo Paradisi che è arrivato alla seconda edizione in meno di un anno. Un libro intenso ma scorrevolissimo che contiene diversi piani di lettura: da quello filosofico a quello letterario, da quello sociologico a quello politico. Nel libro di Paradisi, denso di citazioni e rimandi anche cinematografici – da John Milius a Clint Eastwood passando per Sergio Leone e Francis Ford Coppola - il filo rosso di collegamento è sempre il discorso sulla capacità rivoluzionaria della giovinezza, intesa ripetiamo, come categoria dello spirito, come condizione interiore, come capacità di rinnovarsi ogni giorno ma nella fedeltà al proprio stile, al proprio codice, alla propria vocazione.

L’autore, citando lo psicologo James Hillman, direbbe la fedeltà al proprio “daimon”, se vogliamo l’immagine della propria anima. Non la giovinezza dunque di chi ha “il merito” anagrafico di essere un ragazzo, né la giovinezza posticcia e artefatta degli eterni adolescenti, di coloro cioè che ormai adulti o anziani, si limitano a mimare lo stile dei giovani attraverso l’adozione di mode e addittivi, ma la giovinezza di chi non ha perduto la fantasia morale e la volontà di provare sempre le sue idee e le sue passioni sulla realtà, per vedere se tagliano, di chi non svende il proprio sentire più autentico per uno scatto di carriera o per un buono pasto, di chi tuttavia al tempo stesso non si illude nelle velleità e nelle astrazioni magari facendo pagare agli altri il suo idealismo parolaio. La giovinezza di cui si parla in questo libro è uno stato di tensione, come lo definisce André Malraux, altro autore citato da Paradisi, che si mantiene in un equilibrio costante tra entusiasmo e strategia, tra ponderazione e azione. Quello che ne emerge è l’idea della giovinezza quasi come un mestiere, immagine efficacissima usata nella sua introduzione da Stenio Solinas. Ma nel libro di Paradisi c’è come si diceva anche un contenuto profondamente politico: le pagine dove viene messa a fuoco la guerra contro i giovani in corso non solo in Italia sono forse le più drammatiche del libro. Giovani tenuti ai margini del mercato del lavoro e penalizzati dal welfare, costretti all’emigrazione, al sottodimensionamento sociale e politico: “La guerra contro questa generazione – scrive Paradisi – è in corso da almeno vent’anni. Da quando, cioè, è saltato il patto generazionale di equità che bene o male aveva retto fino a quel momento”.

Paradisi ricorda la riforma Dini del ’ 95 che scaricava il peso della previdenza proprio sui ragazzi di vent’anni, oggi quarantenni, che si affacciavano al mondo del lavoro privi di rappresentanza sindacale e politica. “Una generazione che non avrà mai nemmeno un pezzo di pensione retributiva e che dovrà provvedere alla propria vecchiaia con quanto resta del suo reddito. Una generazione vittima di una guerra sociale ed economica in piena regola. Parliamo infatti di quasi dieci milioni d’italiani colpiti da una tempesta che non ha prodotto il destino cinico e baro o l’indifferente natura leopardiana, ma che ha i suoi responsabili in quei settori della classe dirigente che hanno deciso di non socializzare nessun sacrificio, trovando più giusto accollarlo su una generazione espiatoria”. Ma non è solo l’Italia a invecchiare male, a trasferire le cambiali da pagare per il costo di un welfare squilibrato alle generazioni che si sono affacciate sulla scena sociale nell’ultimo ventennio. “In Francia – ricorda Paradisi - la condizione sociale giovanile non è migliore. Un pugno di cifre dà un’idea: nel 1972 il tasso di disoccupazione alla fine degli studi era del 4%, un’estate invincibile 83 mentre oggi lambisce il 30%. Nel 1957 un cinquantenne guadagnava il 15% in più rispetto a un trentenne di oggi: il differenziale è di oltre il 40%. All’inizio degli anni Settanta si poteva diventare insegnanti elementari con il diploma di scuola superiore, mentre oggi occorre la laurea”.

L’autore va avanti con gli esempi ma insomma è chiaro il messaggio, meno scontata tuttavia la soluzione da opporre. Nel libro non ci sono ricette, cure per raddrizzare il legno storto del mondo e nemmeno inutili piagnistei o rancorose recriminazioni. Viene anzi indicata l’estrema complessità dei tempi che stiamo vivendo e delle sfide che essi portano. Non saranno dunque le pretese palingenesi rivoluzionarie – che hanno miseramente fallito nel 900 gettando nel terrore nazioni e popoli – a fornire risposte allo scacco in cui siamo, alla grande crisi che non è solo politica, economica e civile ma che è soprattutto una crisi di senso. Sarà al contrario la forza degli individui, di coloro che riusciranno a unire libertà e responsabilità, a pensare un ordine giusto per se stessi e per gli altri sulle linee di una visione personalista e comunitaria che alle idee di libertà e eguaglianza recuperi anche la sempre dimenticata “fraternità” senza la quale libertà e eguaglianza si strangoleranno sempre a vicenda.

Al centro del libro c’è una figura dimenticata e straordinaria nella storia di questo paese: quella di Adriano Olivetti. Nell’idea di Olivetti, che per una manciata d’anni è riuscita a incarnarsi nel miracolo di Ivrea - una fabbrica giusta inserita in una comunità organica - e nelle tesi politiche del movimento olivettiano espresse dall’ingegnere nel suo saggio L’ordine politico delle comunità. In queste idee Paradisi vede un varco aperto per immaginare un futuro diverso dal presente che ci assedia, indicando l’esperimento olivettiano – una concezione del lavoro e della democrazia piena di bellezza e partecipazione - come un seme ancora capace di generare futuro. Dietro la visione di Adriano Olivetti – che entra in Parlamento nel 1958, con il Movimento di Comunità – non ci sono, secondo l’autore, le ideologie su cui poggiano la sinistra e la destra italiane; “non troviamo né il socialismo livellatore di Marx né la logica del profitto benthamiana, e nemmeno il nazionalismo ottuso del fascismo, ma l’idea di una società personalista e cristiana pensata da Emmanuel Mounier, insieme alla tripartizione dell’organismo sociale di Rudolf Steiner, di cui Olivetti era devoto studioso”. Un futuro possibile e auspicabile. Sta a chi è capace di non darla vinta alla vecchiaia del mondo tenere sempre aperta la rivoluzione della coscienza per tentare di inverarlo. Un’estate invincibile è un libro esistenziale ma anche profondamente politico.