Prosegue l’ondata di arresti e di violenze in Turchia. Domenica è stato il turno di quattro avvocati dell’associazione CHD, selvaggiamente picchiati ed arrestati nell’ambito di una manifestazione indetta ad Ankara per denunciare le condizioni critiche di Nuriye e Semih, due accademici vittime delle purghe seguenti al tentativo di Colpo di stato, in sciopero della fame da 137 giorni per chiedere il reintegro nel proprio lavoro.

Nuriye Gülmen e Semih Özakça sono solo due dei 5mila accademici e dei 50mila insegnanti e cento cinquanta mila ufficiali pubblici che dopo il colpo di stato sono stati colpiti dai decreti emergenziali: indagati per terrorismo, alcuni di loro sono stati arrestati, tutti sono stati licenziati, senza possibilità di ricorso interno e con l’interdizione perpetua dalla possibilità di ricoprire pubblici incarichi.

La manifestazione è stata indetta ad Ankara da una piattaforma di associazioni democratiche che già aveva lanciato una petizione ( è ancora possibile aderire: nuriyesemihyasasin@ gmail.com), che ha registrato adesioni a livello internazionale, per denunciare le gravi condizioni di salute di Nuriye e Semih per dimostrare solidarietà contro le accuse del Ministro dell’interno turco Süleyman Soylu, il quale ha accusato i firmatari della petizione di «affidarsi ai terroristi invece dello Stato». Molti autobus di manifestanti che volevano raggiungere la manifestazione sono stati bloccati.

La polizia turca ha interrotto con brutalità la dimostrazione pacifica, caricando con violenza i partecipanti. Sono state arrestate 61 persone, dei quali 4 avvocati, tutti appartenenti all’associazione di avvocati progressisti CHD il cui presidente, Selcuk Kozagacli, come già riportato da questo giornale è stato oggetto di gravi intimidazioni in quanto accusato da due quotidiani turchi di «manipolare» lo sciopero della fame delle sue clienti, Nuriye e Semih.

Gli avvocati arrestati sono Barkin Timtik, Ebru Timtik, Dervis Emre Aydin, Aysegül Cagatay. La collega Barkin Timtik aveva già scontato due mesi di carcere, imputata per apologia di reato e tradimento per aver partecipato il 15 dicembre 2016 al banchetto postfunerario di un suo assistito, alevita, nel corso del quale la polizia circondò il locale ( Una casa di culto alevita) e fece irruzione con l’utilizzo all’interno dell’abitazione di gas lacrimogeni ed urticanti e violenza nei confronti dei presenti, dei quali 23 furono arrestati e rinviati a giudizio. Il collega avv. Giacomo Gianolla di Padova, che segue il processo come osservatore internazionale su mandato dei Giuristi Democratici e dell’Ordine degli avvocati di Padova, riferisce che nel corso dell’ultima udienza il giudice istruttore, acquisiti tutti gli atti di indagine della Procura, ha respinto la richiesta della difesa di procedere a dibattimento alla rinnovazione delle prove in contraddittorio, per cui nella prossima udienza del 2 novembre 2017 ci sarà la requisitoria del pubblico ministero, e la collega verrà giudicata sulla base dei soli atti di indagine della Procura, insieme agli altri 26 imputati.

In questo contesto di così grave compressione del diritto alla difesa, di persecuzione degli avvocati in un più ampio contesto di conclamata repressione delle libertà democratiche, il Presidente nazionale dell’unione degli ordini degli avvocati turchi, nel più assoluto silenzio su questi episodi, ha lanciato una campagna per la tutela degli animali di strada.

La solidarietà internazionale nei confronti di chi continua strenuamente a difendere in Turchia l’esercizio dei diritti fondamentali e delle libertà democratiche, e la denuncia di questi ormai quotidiani episodi di violenza e di persecuzione nei confronti delle voci critiche e degli attivisti per i diritti umani da parte delle forze di sicurezza, resta l’unico strumento per sollecitare le Istituzioni e gli investitori italiani a non essere complici delle sistematiche violazioni dei diritti umani di quella che oggi, all’esito positivo del referendum per la riforma costituzionale e dell’abuso della legislazione di emergenza, non può definirsi altrimenti se non una dittatura.