Massimo Carminati è da 31 mesi in regime di carcere duro, il famoso art. 41bis al quale possono essere sottoposti non solo i condannati ma anche i sospettati di mafiosità, cioè i detenuti in attesa di giudizio. Dati i capi d’accusa era inevitabile che per il cecato scattasse quell’articolo: non si trattava infatti, secondo l’accusa, di un qualsiasi soldato di mafia ma di un boss a pieno titolo e di prima grandezza: come don Totò Riina o ' Sandokan', per intendersi.

La sentenza di Roma smantella quell’accusa da ogni punto di vista. Non solo, infatti, Carminati non è stato condannato ai sensi dell’art. 416 bis, quello che riguarda l’associazione mafiosa, ma non è stata riconosciuta neppure l’aggravante del ' metodo mafioso'. Per quanto riguarda l’imputato numero 1 del processone è un passaggio cruciale: in assenza di atti di violenza e di conclamate violenza il ' metodo mafioso', nell’impianto accusatorio, era costituito dalla semplice presenza di Massimo Carminati, che comportava di per sé una ' riserva di violenza' tale da giustificare la richiesta di aggravante. Infine è caduto, secondo i giudici della X Sezione del Tribunale di Roma, il nesso materiale con le mafie propriamente dette. I due imputati calabresi accusati di costituire il tramite con le ‘ ndrine, Rocco Rotolo e salvatore Ruggiero, sono infatti stati assolti e già scarcerati.

In sostanza la sentenza sgombra il campo da ogni accusa di mafia per quanto riguarda sia Carminati che Salvatore Buzzi, anche lui a lungo in regime di 41bis ma passato alcuni mesi alla detenzione normale. Gli avvocati di Carminati hanno già chiesto che venga eliminato il regime di carcere duro ed è probabile, che se non certo, che otterranno il passaggio alla detenzione comune. Del resto l’ex Nar ha seguito tutto da lontano, in videoconferenza. «Era convinto che sarebbe andata male. Temeva che tutte le pressioni mediatiche avrebbero portato a un responso negativo per lui. Mi ha anche detto che adesso lo devo togliere dal 41 bis, questo è il suo primo pensiero e la sua prima preoccupazione», ha spiegato l’avvocato Ippolita Naso al termine del colloquio telefonico con lui. La sentenza ha dunque certificato l’esistenza di un grande sistema corruttivo ma nulla a che vedere con la pesantezza delle accuse mosse dalla Procura.

La vera domanda a questi punto è però se fosse davvero necessario tenere per 31 mesi in condizioni che il Comitato prevenzione tortura del Consiglio d’Europa assimila alla tortura un detenuto in attesa di giudizio, per il quale dovrebbe cioè valere la presunzione d’innocenza sancita dalla Costituzione.

Nel caso di Carminati, essendo fuori discussione il rischio di mantenere contatti con un’organizzazione ormai sgominata così come l’eventualità di un pentimento in- dotto dal carcere duro prima del giudizio, la decisione di mantenerlo in regime di 41bis sembra dipendere essenzialmente dalla necessità di confermare quella ' straordinaria caratura criminale' che era in realtà la pietra angolare dell’impianto accusatorio. Di fatto Carminati è stato tenuto per 31 mesi in un regime che il Consiglio d’Europa assimila alla tortura soprattutto per confermare che era davvero quel pericolosissimo boss mafioso di cui parlava l’accusa.

Per sinistra coincidenza, pochi giorni prima, senza che se ne accorgesse nessuno salvo Adriano Sofri e pochissimi altri, il tribunale di Catania aveva annullato le condanne per nove persone già condannate all’ergastolo per la strage di via D’Amelio, sulla base delle denunce del falso pentito Scarantino. Erano fuori di galera dal 2008, da quando cioè il vero pentito Spatuzza li aveva scagionati, ma solo con la formula interlocutoria della ' sospensione della pena'. Prima di quella data, però, avevano passato ben 12 anni nelle condizioni, allora molto più dure di quelle attuali, dettate dal 41bis.

E’ opportuno ricordare che le ' rivelazioni' di Scarantino, dettategli stando alle sue parole dall’allora capo ella Mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, poi distintosi alla Diaz nella mattanza di Genova e scomparso nel 2002, erano state subito considerate fortemente dubbie, come hanno ricordato sia Ilda Boccassini che Antonio Ingroia. I casi in questione sono particolarmente vistosi, anche se il particolare del 41bis indebito quasi non è citato nei commenti sulla sentenza di Roma e lo scempio siciliano è stato di fatto dimenticato nonostante la sentenza di Catania.

Ma di certo non sono casi unici. La decisione di comminare il carcere duro anche ai presunti innocenti rende inevitabili casi come quello di Massimo Carminati. L’eventualità di errori giudiziari, soprattutto in processi che dipendono in buona misura dalle parole dei pentiti, è inevitabile. Ce ne sarebbe a sufficienza per decidersi a riaprire il capitolo 41bis una volta per tutte.

PRIMA DELLA SENTENZA DI MAFIA CAPITALE, ERANO STATE ANNULLATE LE CONDANNE PER 9 PERSONE COINVOLTE DALLE FALSE DENUNCE DI SCARANTINO