IL PROCESSO

Non c’era mafia a Roma, ma solo due associazioni a delinquere che si sono presi la città con corruzione e malaffare. Il processo “Mafia Capitale” dunque regge a metà: 41 le condanne e cinque le assoluzioni, ma con l’esclusione del metodo mafioso, quello che ha dato il nome all’intero processo. Il calcolo finale delle pene dimezza così il complessivo chiesto in aula dai magistrati. Quelle più alte sono andate ai due protagonisti dell’inchiesta: Massimo Carminati, l’ex Nar, condannato a 20 anni, contro i 28 chiesti dall’accusa, e Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative, condannato a 19 anni a fronte dei 26 richiesti. L’ex vicepresidente della sua cooperativa, la “29 giugno”, Carlo Guaray, per il quale avevano chiesto 19 anni, è stato condannato a cinque. Il X collegio penale presieduto da Rossana Ianniello ha iniziato a leggere la sentenza alle 13, dentro un’aula bunker stracolma di giornalisti, dopo una camera di consiglio durata 4 ore. In aula anche i parenti degli imputati, assiepati dietro la ringhiera. Il grande assente, poi definito dai legali lo «sconfitto», è stato il procuratore capo Giuseppe Pignatone. A presidiare l’aula c’erano i tre pm che hanno condotto le 240 udienze, Paolo Ielo, Luca Tescaroli e Giuseppe Cascini. Dieci minuti prima della lettura della sentenza è toccato agli imputati fare l’ingresso in aula, sistemati nei gabbiotti numerati dall’ 1 al 4. Alcuni sono rimasti seduti, altri appesi alle sbarre con lo sguardo fisso sull’altare di legno dal quale poco dopo sono spuntati i giudici. Non è un mafioso, dunque, Massimo Carminati, ma un «delinquente abituale». Per lui, a pena espiata, il tribunale ha stabilito l’affidamento ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro per almeno due anni.

RITRATTO 1 | Vi racconto chi era Salvatore Buzzi - di Lanfranco Camminiti

RITRATTO 2 | Carminati, il boss senza cosca - di Paolo Delgado

Nel frattempo gli sono stati confiscati i beni: dai gemelli d’oro custoditi in casa, alle opere d’arte, ma soprattutto le armi, una katana, due machete e un’accetta. Le condanne sono arrivate anche per i politici coinvolti: sei anni – due in più rispetto alla richiesta - per Mirko Coratti ( Pd), ex presidente del consiglio comunale di Roma ed esponente; 11 anni per Luca Gramazio, ex consigliere regionale Pdl; 10 anni a Franco Panzironi, ex ad dell’Ama, otto per Luca Odevaine, ex componente del Tavolo di coordinamento nazionale sui migranti del Viminale; cinque ad Andrea Tassone ( Pd), ex presidente del municipio di Ostia. Assolti, invece, Giovanni Fiscon, ex sindaco di Castelnuovo di Porto, Fabio Stefoni, Giuseppe Mogliani, Salvatore Ruggiero e Rocco Rotolo. «La mafia a Roma non esiste», ha sentenziato il legale di Carminati, Bruno Giosuè Naso. «C’è stata una severità assurda: non si è mai visto che su 46 imputati nemmeno uno meriti le circostanze attenuanti generiche. Sono quindi delle pene date per compensare lo schiaffo morale che è stato rivolto alla Procura – ha affermato - Non so se questo processo ha dei vincitori, ma certamente ha uno sconfitto: Pignatone. Su questo non ci sono dubbi». E la sconfitta, in parte, l’ha ammessa anche l’aggiunto Ielo. «È una sentenza che in parte ci dà torto, per quanto riguarda la qualificazione giuridica, ed in parte riconosce la bontà del nostro lavoro – ha detto - La sentenza riconosce l’esistenza di un’associazione a delinquere semplice ed aggravata. È stato un fenomeno di criminalità organizzata ma non di tipo mafioso. Sono state riconosciute due distinte organizzazioni criminali che non avevano però il carattere della mafiosità. Ma la dinamica della delusione non appartiene a chi fa il mio mestiere». L’ex Nar ha seguito tutto da lontano, in videoconferenza. «Era convinto che sarebbe andata male. Temeva che tutte le pressioni mediatiche avrebbero portato a un responso negativo per lui. Mi ha anche detto che adesso lo devo togliere dal 41 bis, questo è il suo primo pensiero e la sua prima preoccupazione», ha spiegato l’avvocato Ippolita Naso al termine del colloquio telefonico con Carminati. Più soddisfatto, invece, Buzzi. «Ora quando esco? questo il suo primo commento Mi auguro che alla luce di questa decisione la mia permanenza in carcere stia per finire». La sentenza ha certificato l’esistenza di un grande sistema corruttivo ma nulla a che vedere con la pesantezza delle accuse mosse dalla Procura. Una «mafia costruita» secondo Alessandro Diddi, legale di Buzzi. «Credo che oggi Buzzi sia stato creduto perchè altrimenti certe condanne che si basano esclusivamente sulle sue dichiarazioni il Tribunale non le avrebbe potute fare. Per questo motivo credo che la Procura debba rifare da capo il processo al “mondo di mezzo”. Abbiamo dato una grande lezione alla Procura che ha investito tutto sul 416 bis impedendo di accertare le corruzioni in questa città».

LE REAZIONI

MARINO - "Senza Mafia capitale e l'inchiesta sugli scontrini io sarei ancora in Campidoglio". Lo dice l'ex primo cittadino di Roma, Ignazio Marino in un'intervista alla Stampa. "Contro di me - spiega - ci fu una convergenza opaca di interessi. Non so se qualcuno abbia voluto o tentato di condizionare la magistratura. Ma so che i giudici non sono condizionabili". Marino quindi si lascia andare a un giudizio ultimativo sul Pd: "Soffro per l'agonia a cui è sottoposto il partito che ho contribuito a fondare. Oggi mi sembra difficile dire che il Pd renziano esista ancora".

ORFINI - "Possiamo reagire in tanti modi alla sentenza di ieri, tutti ovviamente comprensibili e legittimi. Ma il più sbagliato è quello forse più diffuso in queste ore: sostenere che si dovrebbe chiedere scusa a Roma perchè Roma non è una città mafiosa. Lo dico da romano innamorato della mia città: a Roma la mafia c'è. Ed è forte e radicata". A scriverlo in un articolo pubblicato sul sito della rivista Left Wing è Matteo Orfini, presidente del Pd. "Basta fare una passeggiata in centro e contare i ristoranti sequestrati perchè controllati dalla mafia. Basta passeggiare nei tanti quartieri in cui le piazze di spaccio sono gestite professionalmente, con tanto di vedette sui tetti e controllo militare del territorio. Basta spingersi a Ostia e seguire le attività degli Spada, o andare dall'altra parte della città dove regnano i Casamonica. Basta leggere le cronache per trovare la mafia ovunque", aggiunge. "Ma quella di Carminati non è mafia, dice il processo. Vedremo cosa stabiliranno i prossimi gradi di giudizio, ma come scrissi mesi fa, cambia davvero poco. A Roma la mafia c'è e ha dilagato usando la corruzione come grimaldello. Oggi Roma è gestita da più clan che hanno evidentemente trovato un equilibrio tra di loro e si sono spartiti la città. A chi ha iniziato a sgominare questo sistema bisogna solo dire grazie, soprattutto se si pensa che in passato la procura di Roma era nota come il 'porto delle nebbiè. Farebbe piacere anche a me - continua Orfini - poter dire che la mafia a Roma non c'è. Ma sarebbe una bugia. Io sono orgoglioso di essere romano. Ed è proprio l'orgoglio che mi fa dire che - di fronte a quello che oggi è diventata Roma - bisogna reagire e combattere, non affidarsi a tesi di comodo. Roma non è stata umiliata da chi indaga. Roma è stata umiliata da chi l'ha soggiogata. E da chi non ha saputo impedirlo. Invertire l'ordine delle responsabilità significa continuare a tenere gli occhi chiusi", conclude.

RAGGI - "Quello che la sentenza ha comunque accertato è che c'è stato un pesantissimo e intricatissimo sistema che per anni ha tenuto sotto scacco la politica. Questo significa che quando parlo di bandi, di seguire le procedure di legge, vuol dire andare verso un nuovo corso, quello che i cittadini ci hanno chiesto. Io non vedo altra strada se non quella di continuare in questa direzione". Così la sindaca di Roma Virginia Raggi interpellata a margine di una conferenza stampa torna a commentare la sentenza di ieri sul processo "Mafia Capitale" che pur infliggendo pesantissime condanne per corruzione ha escluso l'associazione mafiosa, mantenendo l'associazione semplice.