Direttore del dipartimento di sociologia dell’Università di Montpellier, professore di scienze politiche, esperto di flussi elettorali, Jean Yves Dormagen studia da almeno un ventennio il comportamento dell’elettorato francese e la disaffezione tra i cittadini e la politica. Una tendenza profetizzata già nel 2001 con il suo Democrazia dell’astensione e che nel corso degli anni è diventata una costante del voto oltre le Alpi, marcando una separazione strutturale tra popolo ed élites, tra classi dirigenti e cittadinanza. «Il macronismo nasce da questo distacco progressivo e in larga misura ne sfrutta gli effetti, e lo fa in modo clamoroso».

Macron può governare la Francia come un monarca, ma in molti sottolineano come il suo successo sia macchiato da un astensionismo senza precedenti che ne delegittima la leadership.

Non parlerei di mancanza di legittimità ma di una deriva elitaria della democrazia. Più aumenta l’astensione, più aumentano le disuguaglianze nella partecipazione al voto, nelle legislative di domenica, che hanno registrato il record assoluto nella Quinta Repubblica queste disguaglianze sono state spettacolari: nei quartieri popolari ha votato il 20%, anche in una banlieue storicamente politicizzata e storicamente di sinistra come Saint Denis in molti seggi la percentuale non ha superato il 25% e tra i giovani si scende intorno al 18%. In generale il tasso di partecipazione di operai e redditi medio bassi è stato inferiore di 25 punti rispetto a quello delle professioni liberali e dei redditi più elevati. Si direbbe un’elezione riservata ai soli ricchi, ma anche un affare per soli vecchi: l’astensione fa invecchiare automaticamente il corpo elettorale tanto che il picco di partecipazione si è avuto tra gli ultrasettantenni. L’identikit del votante alle legislative è il pensionato bianco benestante e laureato.

Quali sono le conseguenze sul piano politico?

Sono visibili a occhio nudo: l’astensione di massa ha penalizzato principalmente il Front National di Marine Le Pen e la France Insoumise di Mélenchon e ha protetto il movimento di Macron e in parte i gollisti: rispetto alle presidenziali La République en marche ha perso un quarto dei suoi elettori mentre il Fn due terzi e la sinistra radicale circa la metà. All’interno di questa fuga dalle urne c’è una logica “di classe” che non si vedeva dalla fine degli anni 70, la stessa logica che ha polarizzato le candidature delle presidenziali, con Macron e Fillon a rappresentare i ceti medio alti e Le Pen e Mélenchon che hanno raccolto consensi negli ambienti popolari. Con una differenza: l’estrema destra e l’estrema sinistra sono due mondi incompatibili e due elettorati impermeabili tra loro, mentre Macron è riuscito a compiere un’operazione storica di cui forse neanche lui è in grado di valutare l’effettiva portata.

Ossia?

Il suo movimento è stato capace di riunificare sotto lo stesso vessillo la destra borghese e la sinistra borghese, due blocchi politici che hanno interessi comuni e che per oltre cinquant’anni hanno vissuto in case separate. Attorno a questa differenza ha ruotato tutto il sistema politico, la logica delle alleanze e delle fazioni. Con il macronismo tutto questo salta in aria: i due blocchi si sono scoperti molto più vicini tra di loro di quanto non lo fossero ai loro alleati politici e in diversi casi alle stesse ali estreme dei loro stessi partiti. E’ una convergenza “di classe” si sarebbe detto un tempo. Sembra una lettura arcaica ma è esattamente quello che sta accadendo in Francia oggi. Detto ciò il folgorante successo della République en marche ha il merito di semplificare il quadro politico e gli interessi sociali ed economici dei singoli schieramenti. Dal punto di vista politico e simbolico quella di Macron è un’operazione rivoluzionaria.

In qualche modo ha realizzato il vecchio sogno di costruire un centro in una nazione riottosa, che fino ad ora è sempre stata animata dalle spinte contrapposte del giacobinismo socialista a sinistra e del bonapartismo gollista a destra

Prima di Macron ci provò Giscard D’Estaing nella metà degli anni 70 e poi François Bayrou una decina di anni fa, ma entrambi hanno fallito perché lo schema destra/ sinistra funzionava ancora, ma in pochi anni si è verificata una vera e propria crisi di egemonia.

Nella convivenza politica di questo nuovo blocco borghese-liberale non rischiano di affiorare le antiche divisioni?

Anche se fosse non costituirebbe un ostacolo, ci sarà un gioco incrociato di concessioni, l’anima di sinistra dovrà accettare politiche economiche con meno regole e protezioni, l’anima di destra dovrà fare concessioni nel campo dei diritti civili e rinunciare un po’ alla sua retorica identitaria e nazionalista. Non a caso nel governo di Edouard Philippe i ministeri economici sono andati a degli ex gollisti mentre quelli politici a degli ex socialisti. Quel che stupisce in questa ricomposizione sociale e politica è semmai la rapidità del fenomeno, appena sei mesi fa nessuno era in grado di prevedere quanto sarebbe accaduto, ora ci troviamo di fronte a uno scenario del tutto inedito, proprio come accade nelle rivoluzioni.