Le agenzie di stampa e i giornali di tutta Italia hanno riportato in questi giorni a più riprese la triste vicenda di quella donna – Marianna Manduca – uccisa dal marito, ma che inutilmente aveva denunciato, alla Procura della Repubblica, numerosi precedenti di aggressioni subite dallo stesso. Per tale motivo, i figli della donna iuccisa hanno intentato causa allo Stato per ottenere un congruo risarcimento del danno per la negligenza mostrata nel caso in specie da parte di due pubblici ministeri – allora in servizio a Catania o a Caltagirone ( le notizie si contraddicono) – i quali, esaminando le denunce della donna, non avevano fatto quanto necessario a dotarla di un opportuno dispositivo di sicurezza che la ponesse al sicuro dalle aggressioni del marito. E dunque, lo Stato dovrà pagare trecentomila euro ai figli e poi si potrà rivalere sui due magistrati riconosciuti responsabili dal Tribunale di Messina per tale inescusabile negligenza.

La notizia suscita interesse per due motivi.

Innanzitutto, perché si tratta di una delle rarissime occasioni in cui un Tribunale riconosce la responsabilità di un magistrato ( anzi di due magistrati) nell’esercizio della propria funzione: a questi esiti l’opinione pubblica è del tutta non avvezza, al punto che ormai di ricorsi per responsabilità dei giudici se ne propongono in misura sempre decrescente – prossima allo zero – temendo appunto che vengano rigettati, consacrando invece una sorta di originaria infallibilità di costoro.

Invece, da un secondo punto di vista, scandalizza davvero che nessuna agenzia di stampa o fonte giornalistica in tre giorni filati che la notizia esce a ripetizione abbia sentito il normale impulso professionale a fare i nomi di questi due pubblici ministeri: silenzio assoluto! Nessuno, dico nessuno fra gli organi di stampa li ha pubblicati o forse addirittura conosciuti: e questo sarebbe ancor più assurdo.

Ma come è possibile?

Come è possibile che chi siano costoro – tanto più se, come pare, uno almeno di loro è ancora in servizio – rimanga avvolto dalla nebbia più fitta? Che si tratti di un segreto di Stato? Che ce lo dicano… E allora delle due l’una. O la stampa si autocensura, evitando di rendere pubblici i nomi dei due pubblici ministeri, per una sorta di timore non confessabile ( ma timore di che cosa? Di possibili ritorsioni? Da parte di chi? E perché?); oppure opera in modo sotterraneo, ma ben percepibile dagli addetti ai lavori, una sorta di silenziosa forza intimidatrice, proveniente dal sistema giudiziario nel suo complesso, la quale mette paura a chi sia incaricato per vocazione e per obbligo deontologico – come appunto il giornalista – di dire la verità: in questo caso la verità del nome di questi due pubblici ministeri.

Questa eventualità – se fosse vera – sarebbe ancor più inquietante dell’autocensura.

E allora, siccome io non credo né alla prima tesi né alla seconda, chiedo qui formalmente a tutti gli organi di stampa italiani di trattare questi due pubblici ministeri come di solito si trattano in casi del genere i sindaci, gli assessori, i primari di medicina, gli avvocati, gli stessi giornalisti e in genere tutti gli uomini normali: chiedo cioé di fare una buona volta i nomi di questi due innominati.

Chi sono? Come si chiamano? Attendo.