La sentenza che ha dato il via libera alla scarcerazione di Totò Riina è una vera e propria proclamazione del diritto e dei diritti della persona. Tra le pagine firmate da Mariastefania Di Tomassi presidente della prima sezione penale della Cassazione, si legge chiaramente che la permanenza in carcere del vecchio boss nega il diritto alla salute e il senso di umanità della pena.

In particolare gli ermellini “contestano” la decisione di respingere la prima richiesta di scarcerazione, avanzata dal legale del boss lo scorso anno, spiegando che nel motivare il diniego, il tribunale di sorveglianza di Bologna aveva omesso di considerare il «complessivo stato morboso del detenuto e le sue condizioni generali di scadimento fisico».

«II provvedimento impugnato - spiega infatti oggi la Cassazione - pur affermando le gravissime condizioni di salute in cui versa l’istante - soggetto di età avanzata, affetto da plurime patologie che interessano vari organi vitali, in particolare cuore e reni, con sindrome parkinsoniana in vasculopatia cerebrale cronica - nega la sussistenza dei presupposti normativi richiesti dall’art. 147, comma 1, n. 2, cod. pen. per il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena, in particolare escludendo, da un lato, l’incompatibilità della detenzione con le condizioni cliniche dell’istante e, dall’altro, il superamento dei limiti imposti dal rispetto dei principi costituzionali del senso di umanità della pena e del diritto alla salute». Il Collegio spiega che la decisione di negare la libertà a Riina «è carente e, in alcuni tratti, contraddittoria». Secondo la Cassazione, infatti, «il provvedimento in esame sostiene l’assenza di un’ incompatibilità dell’infermità fisica del ricorrente con la detenzione in carcere, esclusivamente in ragione della trattabilità delle patologie del detenuto anche in ambiente carcerario, in considerazione del continuo monitoraggio della patologia cardiaca di cui quest’ultimo è affetto e dell’ adeguatezza degli interventi, anche d’urgenza, operati, al fine di prevenire danni maggiori, a mezzo di tempestivi ricoveri del detenuto presso l’Azienda ospedaliera Universitaria di Parma, ex art. 11 legge n. 354 del 1975» Insomma, secondo gli ermellini la giustificazione secondo la quale Riina può essere seguito e trattato anche in carcere è del tutto «parziale».

«Tale prospettiva di valutazione è parziale e, pertanto, inadeguata a sostenere la ritenuta compatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime carcerario. In particolare, il Tribunale omette, nella motivazione adottata, di considerare il complessivo stato morboso del detenuto e le sue generali condizioni di scadimento fisico, pure descritte nel provvedimento. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, affinchè la pena non si risolva in un trattamento inumano e degradante, nel rispetto dei principi di cui agli artt. 27, terzo comma Cost. e 3 Convenzione EDU, lo stato di salute incompatibile con il regime carcerario, idoneo a giustificare il differimento dell’esecuzione della pena per infermità fisica o l’applicazione della detenzione domiciliare non deve ritenersi limitato alla patologia implicante un pericolo per la vita della persona, dovendosi piuttosto avere riguardo ad ogni stato morboso o scadimento fisico capace di determinare un’esistenza al di sotto della soglia di dignità che deve essere rispettata pure nella condizione di restrizione carceraria».