«Quando si è smesso di salvare vite in mare non sono diminuiti gli arrivi di migranti, ma sono solo aumentati i morti». Lo racconta Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia- Europa di Save the Children. Il quale denuncia il clima di denigrazione che le ong stanno vivendo, con conseguenze sulla possibilità di ottenere finanziamenti, ma ribadisce che per ora conseguenze dirette sulle operazioni in mare non ce ne sono. Perché – sottolinea – il focus della questione deve restare sul salvataggio delle vite umane.

Pm, politici, Frontex e tutto il resto. Cosa sta succedendo sui migranti e i salvataggi in mare?

L’unico dato incontrovertibile è che al momento quest’anno sono già morte in mare più di mille persone, è questa la cosa che dovrebbe essere al centro delle nostre preoccupazioni. La vera emergenza è questa. Tutti dovrebbero ragionare su come rendere più efficaci i soccorsi, non sulle polemiche politiche. Trovo inaccettabile che un tema come quello delle politiche migratorie che può anche dividere la politica su posizioni opposte venga però ridotto alla discussione sul salvare gente che sta affogando in mare. Questo proprio non dovrebbe essere neanche messo in discussione. Sul prima e sul dopo del salvataggio si può discutere, sono legittime le posizioni e le visioni differenti. Ma sul salvare chi annega….

Voi di Save the Children come vi collocate in queste vicende?

Dal 2008 ci occupiamo dei minori non accompagnati che affrontano queste traversate. Dallo scorso anno siamo impegnati anche nell’attività di soccorso in mare di cui siamo orgogliosi per noi e per tutti quelli che partecipano a un lavoro difficile e impegnativo. Le persone che accogliamo a bordo della nostra nave “Vox Hestia” hanno già vissuto un viaggio drammatico e lungo attraverso l’Africa di cui la traversata del Mediterraneo è solo un pezzo di un percorso di assoluta sofferenza. Noi agiamo esclusivamente con il coordinamento della Guardia Costiera, non entriamo mai nelle acque territoriali libiche, non abbiamo mai spento i rilevatori della nostra nave, abbiamo esclusivamente finanziatori privati e i nostri bilanci sono online perché la trasparenza è un requisito fondamentale.

E cosa pensa delle inchieste e delle presunte irregolarità di cui si è parlato?

Ben vengano tutte le indagini. Non esiste una zona franca su cui non si può indagare, è giusto tracciare ogni euro. Ma cosa diversa è creare una continua e allarmante campagna denigratoria generalizzata. Si è sparsa un’ombra di sospetto indiscriminato su tutte le ong e anche su tutto il nostro Pae- se. Non mi riferisco solo agli ultimi casi: ricordo l’attacco molto pesante nel 2014 all’operazione Mare Nostrum, in cui si faceva lo stesso discorso di lanciare accuse sul fatto che i salvataggi agevolavano e incentivavano le partenze. Di fatto si è visto che era assolutamente falso, che quando si è chiusa l’operazione Mare Nostrum il numero delle partenze di migranti non è assolutamente diminuito ma sono solo aumentati i morti in mare.

Quali sono state le prime conseguenze pratiche di queste polemiche: sulle operazioni e sui sostenitori?

Sulle operazioni nessun effetto, non è cambiato niente. Sul piano dei donatori si sono certamente registrate maggiori preoccupazioni, alle quali cerchiamo di rispondere aumentando il livello di comunicazione e di dialogo con i nostri finanziatori. Di solito riusciamo a motivare e spiegare, la diffidenza viene facilmente superata, soprattutto quando si dissolve questa ombra di sospetto e ci si concentra sulle persone e si capisce il senso di quello che facciamo. Quando possiamo parlare di persone, di situazioni concrete, di vite di bambini, di quelli che non riusciamo a salvare. Allo stesso tempo ci stanno arrivando anche tante email spontanee di incoraggiamento ed è aumentato il livello di solidarietà e di attenzione verso il nostro lavoro. Certo è in corso una campagna molto forte, ma quando torniamo a ragionare di vite umane è un’altra cosa.