La mattina del 9 aprile del 2015, l’imprenditore Claudio Giardiello, dopo essere entrato nascondendo una pistola nel Tribunale di Milano, uccise tre persone e ne ferì altre due: Giorgio Erba - imputato con lui in un processo per bancarotta -, l’avvocato Lorenzo Claris Appiani e il giudice della Sezione fallimentare Fernando Ciampi, il magistrato che avrebbe dovuto decidere quel giorno la causa.

Dopo una rocambolesca fuga in moto, venne subito arrestato. L’anno scorso è stato condannato all’ergastolo per triplice omicidio volontario dal Gup di Brescia al termine del processo con rito abbreviato.

Con lui è sotto processo, con rito ordinario, Roberto Piazza, la guardia giurata che - secondo l’accusa - non si accorse che Giardiello entrando in Tribunale aveva l’arma con sè. Per lui il Pm ha chiesto la scorsa settimana una condanna a 3 anni per omicidio plurimo colposo. Diverse le perizie effettuate. La sentenza è attesa nelle prossime settimane. Se, formalmente, verrà dunque fatta chiarezza su quanto accaduto, e cioè su come Giardiello sia entrato indisturbato in Tribunale con una pistola, il processo di Brescia è un’occasione mancata per riflettere sul tema, molto attuale, della sicurezza dei Tribunali italiani.

La sicurezza degli uffici giudiziari, un tempo garantita dai carabinieri attraverso il Nucleo Tribunali e Traduzioni, da qualche decina di anni è stata, infatti, delegata alle guardie giurate. La motivazione fu quella di “ottimizzare le risorse”, destinando i carabinieri in servizio pressi i Tribunali al controllo del territorio. Fino allo scorso anno era compito dei Comuni provvedere alla materiale gestione degli uffici giudiziari. Il Comune di Milano spendeva per il Palazzo di giustizia circa 23 milioni l’anno. In questa cifra rientrava anche il servizio di vigilanza affidato, visto l’importo, con una gara d’appalto. Come molte gare pubbliche, il criterio per la scelta del vincitore era quello del massimo ribasso. Per risparmiare si decise di affidare la vigilanza, oltre che alle guardie giurate, a dei semplici portieri che hanno un costo del lavoro nettamente inferiore.

In tempi di spending review tale “mix” ha permesso al Comune di Milano di risparmiare circa 2.800.000 di euro l’anno.

La decisione di affidare la vigilanza del Palazzo di giustizia ad un dispositivo misto di portieri e guardie giurate, va detto, venne subito contestata dalle associazioni di vigilanza. Secondo quest’ultime, infatti, la professionalità dei portieri non era “adeguata” per gestire un servizio delicato come questo. Ma prima il Tar e poi il Consiglio di Stato hanno bocciato i ricorsi.

A parte, quindi, le associazioni di categoria, nessuno ebbe qualcosa da ridire sulla scelta al risparmio del committente. Non disse nulla il Procuratore generale dell’epoca, primo responsabile della sicurezza del Palazzo di giustizia, e non disse nulla il Prefetto che, in qualità di responsabile dell’ordine e dalla sicurezza pubblica, ha il compito di garantire l’incolumità dei magistrati, oltre alla sicurezza del perimetro esterno della struttura giudiziaria. All’indomani della strage, fra i primi atti del neo Procuratore generale Roberto Alfonso ci fu la convocazione della Conferenza permanente dei capi degli uffici e dei dirigenti amministrativi. Su suo impulso venne redatto un documento, non vincolante, sulla sicurezza del Palazzo di giustizia, inviato al Ministero della Giustizia che dal primo gennaio di quest’anno è subentrato ai Comuni nelle spese per la gestione dei Tribunali. Il progetto Alfonso, oltre ad un massiccio ricorso alle nuove tecnologie, con più telecamere e più metal detector, prevedeva una drastica rivisitazione della componente “umana”, con la fine del ricorso agli istituti di vigilanza privata e il ritorno dei carabinieri. Il Ministero, che non si è ancora espresso al riguardo, ha però prorogato senza alcuna modifica l’attuale servizio di vigilanza, ritenendolo pienamente efficace. La morte di 3 persone è stata, dunque, solo una tragica fatalità. Una storia molto italiana.