Persino alle Nazioni unite si sono accorti che in Italia le intercettazioni dei Servizi segreti sono fuori controllo. Nello specifico rapporto diffuso dal Comitato per i Diritti umani dell’Onu c’è persino un’eco del caso su cui sono in corso indagini da parte della Procura di Milano e che riguarda una delle aziende leader nella produzione di software per le captazioni, fornitrice di servizi e assistenza anche alle Procure.

È alla società privata Area che le Nazioni unite si riferiscono quando esprimono «preoccupazione» per il fatto che «aziende con sede in Italia hanno fornito apparecchiature di sorveglianza online a governi stranieri con un record di gravi violazioni dei diritti umani e l’assenza di garanzie giuridiche o meccanismi di controllo». Il governo in questione è quello siriano di Assad, a cui è stato venduto un sistema da 13 milioni di euro. Ma la circostanza ricordata nel rapporto diffuso due giorni fa è solo un’aggravante di un vulnus più generale».

L’Italia, avverte il Comitato Onu, «dovrebbe rivedere il regime che disciplina le intercettazioni di comunicazioni personali, l’hacking dei dispositivi digitali e la conservazione dei dati di comunicazione». È una raccomandazione che non riguarda le attività svolte per conto della magistratura inquirente, quanto quelle condotte appunto dai Servizi. Uno spionaggio senza controllo, secondo il Comitato dei Diritti umani.

Che si dice «preoccupato» riguardo alla «presunta pratica di intercettare le comunicazioni personali da parte delle agenzie di intelligen- ce» e all’impiego di «tecniche di hacking» da parte dei Servizi, senza autorizzazione di legge esplicita o garanzie chiaramente definite».

Un risvolto sottovalutato di uno degli strumenti d’indagine più discussi, oggetto di una delega contenuta nel ddl penale e in attea di essere definitivamente approvata dalla Camera. Ma appunto, nella riforma promossa dal ministro della Giustizia Andrea Orlando ci si occupa delle intercettazioni ordinate dai magistrati, non di quelle effettuate per conto dei Servizi di sicurezza. Anche l’emendamento inserito all’ultimo istante in Senato sulla razionalizzazione dei costi per gli ascolti interviene solo sull’attività investigativa dei pm.

Nel decreto milleproroghe, invece, fa notare il rapporto Onu, c’è un obbligo per gli operatori delle telecomunicazioni, a «conservare i dati oltre il periodo consentito dall’articolo 132 del Codice di protezione dei dati personali, e l’accesso a tali dati da parte delle autorità ( i Servizi, ndr) non è soggetto ad autorizzazione di un’autorità giudiziaria». Se dunque la materia delle intercettazioni nelle indagini penali è quanto meno oggetto di attenzione da parte del legislatore, il campo dei dati acquisiti dalle agenzie di sicurezza è assai meno regolamentato.

Nel rapporto Onu si colgono in particolare due motivi di allarme: il rischio che l’assenza di vincoli crea soprattutto con i captatori digitali, cioè i trojan, così invasivi che in ambito giudiziario dovranno essere usati senza limiti solo contro mafiosi e terroristi; e la disinvoltura con cui i maggiori player gestiscono la conservazione dei dati, sia per le intercettazioni ordinate dai pm che per poterli eventualmente fornire all’intelligence.