Il carcere di Frosinone è al centro di episodi inquietanti. Non solo l’evasione di una settimana fa del boss Alessandro Menditti ( sabato è stato catturato) che sarebbe stata pianificata con l’aiuto dei telefonini e persone esterne, ma anche il giallo della morte di un anziano detenuto disabile classificata in un primo momento come suicidio.

La morte è avvenuta otto mesi fa e, nei giorni scorsi, è stata recapitata la notifica della conclusione delle indagini al sospettato di omicidio: si tratta del detenuto Daniele Cestra, un 43enne di Sabaudia rinchiuso nella struttura di via Cerreto per scontare la pena per l’uccisione di un’anziana nell’ambito di una rapina degenerata al Circeo, sospettato di aver strangolato il disabile e poi inscenato un suicidio tramite impiccagione.

La vittima, con problemi di deambulazione, venne ritrovata impiccata in cella nell’agosto del 2016 proprio da Daniele Cestra che aveva ricevuto il compito di assisterlo nelle attività quotidiane. Una morte sospetta perché sul corpo dell’uomo, così come è stato notato dai primi soccorritori, vennero trovati diversi lividi.

A confermare i sospetti di omicidio e non suicidio, è stata l’autopsia effettuata sul cadavere dell’uomo che riconduce il decesso per asfissia meccanica. Un soffocamento provocato da due mani che avrebbero fortemente stretto il collo della vittima. Gli accertamenti del medico legale avrebbero evidenziato che il detenuto era già morto quando sarebbe stata messa in atto la messinscena del suicidio.

Tante però sono state le inchieste giudiziarie che coinvolgono il carcere “Giuseppe Pagliei” di Frosinone. L’ultima, quella più eclatante, riguarda un presunto traffico di droga e cellulari con l’ipotesi di corruzione dell’assistente capo della polizia penitenziaria.

L’inchiesta che ha portato il gip Francesco Mancini a emettere, con l’ipotesi di corruzione, 13 misure cautelari, è stata avviata nel luglio scorso, dopo il ritrovamento da parte della polizia penitenziaria di alcuni telefonini nelle celle. Secondo gli inquirenti il prezzo per corrompere l’assistente capo della polizia penitenziaria, un 47enne originario di Piglio, ora ai domiciliari, variava tra i 150 e i 500 euro.

I telefonini venivano poi utilizzati dai detenuti sia per parlare con familiari e fidanzate che per continuare a svolgere attività illecite, tanto che un 35enne albanese avrebbe continuato grazie a uno smartphone a gestire lo sfruttamento della prostituzione della sorella e della compagna.

Alla luce dell’ultima evasione del boss della camorra con il ritrovamento dei due cellulari tenuti clandestinamente dal complice e utilizzati per organizzare la fuga con l’aiuto di complici esterni, sembrerebbe che i problemi non finiscano qui. Per ora sono solo ipotesi e sarà un evensia tuale processo a stabilire la verità. Sembrerebbe che nei giorni antecedenti all’evasione, almeno quattro individui ancora da identificare si sarebbero introdotti più volte all’interno del carcere portandosi dietro bombole di gas, tubi e cannello per la fiamma ossidrica.

Tutto ciò sarebbe stato documentato dal sistema di videosorveglianza del carcere. L’ultima intrusione, è quella videoregistrata la notte dell’evasione, tra venerdì e sabato: alle ore 0,15 del 18 marzo i quattro individui si introducono nel perimetro del carcere e se ne vanno poco dopo. Tempo un paio d’ore, e i detenuti Alessandro Menditti e Irijan Boce ( caduto dal muro di cinta durante la fuga) prendono il volo dalla loro cella infilandosi nel varco aperto grazie alla rimozione dell’inferriata della finestra.

Come sia stato possibile l’intrusione dei quattro sconosciuti e l’utilizzo della fiamma ossidrica senza destare sospetti rimane un mistero e saranno gli inquirenti a svelarlo. Resta però il problema oggettivo della criticità dell’Istituto penitenziario. Attualmente ospita 634 detenuti su una capienza regolamentare di 506 posti. Un sovraffollamento accompagnato dalla carenza di organico, situazione denunciata da tempo da diversi sindacati di polizia penitenziaria.