Nel dicembre 2015 Marco Pannella, al termine di una visita al carcere fiorentino di Sollicciano, rilasciò la consueta dichiarazione ai microfoni di Radio Radicale e disse «Guardie vittime come detenuti. Siamo stati accolti da coloro che più di noi sono individualmente vittime e parlo della polizia penitenziaria: siccome parliamo sempre dei detenuti, io parlo ora dei detenenti. Se infatti uno è detenuto c’è anche un detenente. La polizia penitenziaria si vede negare diritti essenziali, ed è costretta a seguire riflessi di regime e di conseguenza si trova ad essere formalmente responsabile». Con lui, come sempre, c’era Rita Bernardini, attualmente presidente onorario di Nessuno Tocchi Caino che non ha mai smesso di lottare per i diritti dei detenuti come per quelli degli agenti penitenziari.

Bernardini, probabilmente nell’immaginario comune il ruolo degli agenti è sottovalutato: inve- ce sono molti importanti per l’intera comunità penitenziaria.

È del 10 gennaio 1977, a prima firma Pannella, una mozione parlamentare che chiedeva la smilitarizzazione del corpo degli agenti di custodia, l’aumento del loro organico attraverso 5000 assunzioni, l’adeguamento delle retribuzioni, e il rientro in servizio negli istituti penitenziari delle centinaia di agenti distaccati presso altri uffici del ministero della Giustizia e non solo. Una dispersione di risorse che si verifica purtroppo anche oggi. Quell’azione parlamentare fu accompagnata da un lungo sciopero della fame di Adelaide Aglietta. Ricordo quella prima fase di una lotta che arrivò, dopo 13 anni, alla smilitarizzazione voluta fortemente non solo dai radicali ma dalla stessa base degli agenti, che si espresse anche attraverso un referendum interno. La riforma del ’ 90 prevedeva altresì l’equiparazione degli agenti di polizia penitenziaria, il nuovo nome del Corpo, alle altre forze di polizia: battaglia radicale che dura tutt’oggi, tanto che pochi mesi fa abbiamo manifestato con comandanti e vice per il loro riallineamento ai massimi dirigenti delle altre polizie.

Quali sono le maggiori difficoltà che rileva e come si superano?

Credo che il Corpo andrebbe riconcepito, considerato che gli strumenti che ci offre oggi la tecnologia, se messi a disposizione della sicurezza, possono consentire al singolo agente, di base come di vertice, di essere parte attiva nelle attività trattamentali di studio, di lavoro, sportive e culturali dei detenuti. In prospettiva non dovrebbero più esserci agenti che aprono e chiudono le celle, ma professionalità che collaborano con gli esperti dell’area educativa nella missione del recupero e del reinserimento sociale delle persone detenute.

Sul loro stemma c’è scritto “garantire la speranza è il nostro compito”. Marco Pannella chiedeva a tutti di “essere speranza”.

Non dimentichiamo che gli agenti sono coloro che stanno più a contatto con i detenuti e che spesso svolgono funzioni che dovrebbero riguardare altre figure professionali il più delle volte assenti, per le carenze di organico, dalla quotidianità del carcere. Non voglio nascondere qui che c’è anche un’estrema minoranza di agenti che usa le maniere forti, spesso brutali, violando le regole minime del rispetto della dignità umana. Si tratta di pochissimi elementi, potrei dire una percentuale mini- ma fisiologica, che non dovrebbero però avere le coperture che riescono ad ottenere anche da parte di una magistratura compiacente.

Con il Partito radicale avete sempre cercato di far emergere i troppi suicidi in carcere che riguardavano gli agenti.

Essere a contatto quotidiano con le tribolazioni umane costituisce un elevato stress che è certamente sottovalutato, anche perché spesso le soluzioni ai problemi della popolazione detenuta devono trovarle proprio gli agenti che con i detenuti ci vivono. Non credo servano telefoni amici con linee dedicate. Occorre piuttosto il riconoscimento dei diritti degli agenti, che sono negati da decenni.

Nel loro bicentenario quale augurio vuole rivolgere?

Quello di essere promotori attivi di quei principi costituzionali che assegnano alla pena, detentiva o meno, oltre al valore riparatorio anche quello del riscatto e del recupero della persona privata della libertà.