Primo maggio 2007 sto suonando al concertone di piazza San Giovanni con un gruppo, dobbiamo fare l’apertura il pomeriggio e poi altri tre pezzi la sera. Dopo l’apertura, decidiamo di stare lì e goderci la parca ospitalità ( fave, pecorino e “vinaccio della casa”) dei sindacati. Verso il primo pomeriggio tra gli organizzatori si nota un certo nervosismo. Chuck Berry doveva essere arrivato da un’ora e invece non ce n’è traccia. È a Fiumicino, ma non passa la dogana: sul contratto c’è scritto che verrà pagato in euro, ma lui vuole i dollari. Il suo management è a Los Angeles e in quel momento è notte, quindi non risponde nessuno. Finché da Londra qualcuno riesce a svegliare il manager che lo tranquillizza e così decide di arrivare.

Quando lo vedo mi stupisce per l’altezza, ha il portamento di un re. Per qualche motivo che a noi sudditi sfugge, sua maestà nella carriera non ha mai voluto un gruppo fisso. Qualche collaborazione anche molto significativa, ma poi è sempre ripartito da zero. Questa volta la band proviene da Londra. Durante l’esibizione succede qualcosa di veramente imbarazzante a quel livello. I suoi pezzi sono sì molto facili da suonare se si consce lo stile, ma spesso nascondono alcune insidie sulle strutture dei brani. Qua e là può esserci una irregolarità dovuta al testo.

Per noi musicisti che seguiamo l’esibizione ai lati del palco è evidente che si sono persi: stanno suonando lo stesso pezzo, ma non sono nel medesimo punto e non riescono a rimettersi “dritti”. Lui non batte ciglio, si porta sul lato del palco e comincia la sua celebre duck walk ( la camminata poi ripresa da Angus Young degli AC\ DC). Il pubblico va in delirio!

Questo è ciò che noi musicisti vorremmo vedere su un palco: un leader che si prende tutta la responsabilità dell’esibizione. Chuck a ottanta anni era una sorta di Mourinho del rock, anzi di più, un rivoluzionario sapiente, perché ci sono due tipi di rivoluzioni: quelle fatte da idealisti che vogliono migliorare la vita di tutti, che spesso finiscono per creare problemi maggiori di quelli che si volevano risolvere.

E quelle che nascono da elementi casuali che però cambiano le nostre vite in meglio. Bene, l’altra sera, nella sua città natale ( Saint Louis) se ne è andato un gigante del pensiero occidentale cui tutti, ma veramente tutti dobbiamo dire grazie.

Nel dopoguerra l’America attraversa un periodo di forte ottimismo. I blue jeans, nono- stante siano stati sdoganati da una copertina di Vogue già nel ‘ 37, diventano la divisa di una nuova categoria di umanità e di un nuovo mercato che fino a quel tempo nessuno aveva mai considerato: i giovani. Da quel momento i giovani non furono più “adulti in divenire”, ma una categoria di persone con aspirazioni e desideri propri. Alan Freed, un geniale DJ, che tra l’altro è colui che di fatto conia il termine “rock and roll”, nel suo programma mette sia musica bianca che nera. All’epoca è un cazzotto in faccia.

[embed]https://youtu.be/19nU0Ys40oo[/embed]

Dall’epoca dei Race Record degli anni ‘ 20 ( che erano dei dischi a basso costo prodotti per i neri e che oggi costituiscono la più importante risorsa per conoscere la musica nera di quegli anni) che i due mercati sono di fatto separati. Invece ora la domanda di musica nera esplode.

Ecco Chuck Berry è insieme ad un altro manipolo di pionieri e di inventori in quegli anni è l’emblema di questa nuova onda che sta per travolgere il mondo. E’ a un suo concerto che per la pressione dei fans cadono le barriere che dividono i bianchi dai neri che per la prima volta si mischiano insieme ballando al suono del rock and roll.

Il Jazz però spinto dalla volontà di ritrovare un elemento africano più forte in contrasto con lo swing che per loro compiace troppo il gusto dei bianchi inizia il suo percorso che poi terminerà con la dissoluzione del linguaggio negli anni ‘ 60, non sembra in gradi di accontentare questa domanda.

Allora una nuova musica più semplice va a colmare questo vuoto. Un po’ come quando negli anni ‘ 70 la tendenza del rock andava via via complicandosi con il i King Crimson, gli Air, i Genesis e i Soft Machine, i Ramones prima e i Sex Pistols poi irrompono con una musica che aveva poco da offrire al di fuori del nichilismo dei suoi attori e una carica di energia che meglio descriveva le inquietudini e le aspirazioni dei giovani in quegli anni. Questo è un procedimento tipico di ogni genere musicale. Ci sono i pionieri che sperimentano, poi quando il linguaggio si codifica cresce il suo potere commerciale e infine sperimentatori che lo portano alla dissoluzione.

Era già successo con la “musica pensata per essere tramandata a mezzo di scrittura” quando si dissolve con i vari Schoenberg, Strawinskij ( anche se è bene ricordare che alla prima della sagra della prima vera a Parigi, tra i suoi sostenitori e i suoi detrattori si presero a sediate e quindi si vede che nel 1913 muoveva ancora forti passioni), l’elemento ritmico di derivazione africana prende sempre più piede nel mondo occidentale.

Persino in Italia con qualche anno di ritardo, con Natalino Otto e Alberto Rabbagliati che pur non vivevano in un clima particolarmente tenero con la contaminazione dei generi musicali. E succederà quando negli anni ottanta quando le atmosfere sofisticate della musica pop di quegli anni verrano fagocitate dalla tecno da una parte e dal grunge dall’altra.

Questo processo avviene un po’ perché il linguaggio precedente nel suo processo di dissoluzione non riesce più a descrivere una contemporaneità in modo condiviso e un po’ perché gli inventori hanno un peso enorme nella storia della musica: Mozart che usa il clarinetto assente in Bach.

[embed]https://youtu.be/8pzGxxfunXI[/embed]

La prima generazione di cantanti confidenziali al termine degli anni ‘ 30 è chiamata così perché cantano piano, ma ciò e dovuto solo alla nuova possibilità di amplificare la voce. La techno che usa un nuovo modo di produrre musica legato all’evoluzione dei computer che non richiede necessariamente competenze musicali. Il r’n r è altrettanto effetto dell’elettrificazione degli strumenti e quasi tutto il suo sviluppo sarà comunque connesso con l’invenzione di nuove tecnologie.

È curioso pensare che tanta critica negli anni pone l’accento su quanto i bianchi rubino l’elemento nero per commercializzarlo in chiave edulcorata ( Glenn Miller, Elvis, Eminem). Un altro gigante, BB King nella sua autobiografia invece ha una spiegazione molto semplice e altrettanto logica. Dice: quella musica che facevamo noi era troppo bella e quindi anche i bianchi volevano suonarla, ascoltarla e ballarla.

Quindi se oggi in gran parte del mondo occidentale si suona una musica in cui la batteria e il ritmo è al centro del progetto estetico, sinanco se suoni negli zeta zero alfa inneggiando alla purezza della razza e alla difesa delle italiche tradizioni o se una donna può avere rapporti sessuali pre matrimoniali è in parte merito di Chuck Berry.

Loro hanno dato il la a quella che poi sarà, forse anche perché non ebbe costi economici, la più grande rivoluzione della storia. L’unica pienamente riuscita: la rivoluzione sessuale.