«Caro signore, lei è stato ingiustamente accusato di gravi reati, e per questo ha perso il lavoro nell’Esercito, ma poiché non ha impugnato davanti al Consiglio di Stato una sentenza del Tar adesso deve rassegnarsi alla disoccupazione». Può lo Stato liquidare così un suo servitore? Possibile che un sottosegretario alla Difesa risponda con parole simili a un’interrogazione parlamentare in cui si chiede di reintegrare un soldato escluso per via di un’indagine penale rivelatasi del tutto infondata?

Non può, non dovrebbe, ma è successo. E per questo Francesco Raiola, 36 anni, militare originario di Scafati e vittima di una doppia feroce ingiustizia, prima giudiziaria e poi amministrativa, si è rivolto al presidente della Repubblica. In una lunga lettera inviata alcune settimane fa, il soldato campano racconta la propria vicenda a Sergio Mattarella. Accusato di traffico di stupefacenti dalla Procura di Torre Annunziata nel 2011, quando a guidarla c’era Diego Marmo, il magistrato che definì Enzo Tortora «un cinico mercante di morte». Arrestato, poi tenuto ai domiciliari, quindi escluso dalla graduatoria che gli dava diritto all’imminente assunzione definitiva nelle Forze Armate e licenziato anche come militare in ferma provvisoria. Prosciolto da ogni accusa «perché il fatto non sussiste» nel marzo 2015, ormai da disoccupato. Fino alla paradossale replica proposta nell’aula del Senato dal sottosegretario alla Difesa Domenico Rossi alla interrogazione di Esposito: «Non possiamo reintegrare Raiola per l’omesso, da parte sua, appello al Consiglio di Stato avverso la decisione con cui il Tar del Lazio ha respinto la sua prima istanza di riammissione», decisione presa dal Tribunale amministrativo quando non era ancora arrivato il tardivo proscioglimento.

Una trappola da incubo. Da cui Raiola spera di potersi tirare fuori con l’aiuto di Mattarella, senza dover attendere la conclusione di un ulteriore contenzioso avviato davanti al Tar. «Egregio signor Presidente, chiedo un vostro intervento», conclude nella lettera inviata al Colle. In cui al Capo dello Stato segnala anche che proprio stasera il suo caso sarà raccontato durante la trasmissione “Sono innocente” condotta da Alberto Matano su Rai3. Cosa può fare Mattarella? Nella sua qualità di Capo delle Forze Armate potrebbe sollecitare l’amministrazione a dar seguito a una promessa un po’ indefinita fatta dal sottosegretario Rossi nella replica a Palazzo Madama: «Esaminare eventuali ulteriori prospettazioni» . Cioè un intervento amministrativo straordinario per sanare un’incredibile ingiustizia.

Nella sua risposta all’interrogazione di Esposito, il rappresentante del governo richiama più volte la «perdita dei requisiti morali» da parte di Raiola, che ha costretto l’amministrazione a escluderlo dalla graduatoria definitiva e a togliergli l’impiego provvisorio. Una «perdita» formale, dovuta a un’ipotesi di reato che all’epoca non era ancora stata sottoposta al vaglio del giudice. Ma nel momento in cui sono evocati i «requisiti morali» si pensa inevitabilmente alla integrità che nei fatti questo soldato non aveva mai perso. Nelle intercettazioni che hanno accecato Marmo e i suoi pm per più di 3 anni, un suo commilitone parla di «mozzarelle», un altro di un «televisore» per poter vedere «la partita».

La polizia giudiziaria, nello specifico i carabinieri, danno per scontato si tratti di parole in codice per indicare chili o «partite» di sostanze stupefacenti. Erano invece mozzarelle che dalle parti di Raiola sono ottime e una tv che il commilitone della caserma di Barletta pensava di poter acquistare, tramite l’amico campano, a prezzi più vantaggiosi, in un fornitissimo centro commerciale di Pompei. Raiola non ha mai trafficato stupefacenti, le supposizioni dei pm di Marmo erano una clamorosa svista, un gip se n’è accorto quasi quattro anni dopo l’arresto e ha prosciolto Francesco. Dov’è la perdita delle qualità morali?

«Ho chiesto al presidente Mattarella se dopo 8 anni di carriera, dopo aver vinto un concorso che mi aveva visto classificato al posto 153 su 900 militari già tutti impiegati nell’esercito con contratti a termine come il sottoscritto, e in cui viste le valutazioni eccellenti sarei arrivato nei primi 20 se non fosse stato per l’età anagrafica, se dopo tutto questo gli sembri giusto che debba essere prima escluso dalla graduatoria per l’assunzione definitiva e poi licenziato dalla ferma provvisoria senza che l’amministrazione mi abbia mai neppure ascoltato. Ho scritto al Capo dello Stato che nel mio caso ritengo sia stato violato il principio della presunzione di non colpevolezza stabilito dall’articolo 27 della Costituzione».

Mattarella ha nelle mani una storia terribile di ingiustizia e cecità burocratica. E un appello rivoltogli da un militare impiegato due volte in Kosovo e poi in Afghanistan: «Gli ho raccontato di aver rinviato due volte la data del matrimonio per andare a servire la Patria nelle missioni all’estero. Che ho una moglie disoccupata e due figli, che chiedo solo di poter lavorare. Anche in altri settori dell’amministrazione, se non c’è modo di riavere la divisa». C’è una cosa che né il proscioglimento, né il risarcimento per ingiusta detenzione potranno restituirgli: «Dopo 21 giorni da incubo in isolamento mi diedero i domiciliari: mia moglie era incinta, ho scritto al Presidente che non mi fu possibile accompagnarla alla prima ecografia né a quelle successive, non sapevo se avrei potuto esserci neppure il giorno della nascita di mio figlio. E queste sono cose, ho scritto al Presidente, che nessuna giustizia mi potrà mai ridare indietro».