Danilo Mainardi sembrava eterno, con quel sorriso mai invadente e quel viso che sembrava una sorta di contraltare complementare di Angela, con barba e occhiali. Etologo raffinatissimo e divulgatore, ha dedicato all’educazione alla natura del suo paese tutta la vita, con la presenza in tv ma ancor più con pubblicazioni notevoli per quantità e qualità.

Ha saputo farlo con semplicità e intelligenza, con rigore e capacità pedagogica, senza mai cadere nell’assurdo e grottesco vizio di colleghi e altre trasmissioni divulgative, di antropomorfizzare la natura e soprattutto gli animali che abbiamo imparato a conoscere, davvero, dai bozzetti che ci mostrava, senza però scimmiottare Esopo o Disney, tipica scorciatoia amata da molti suoi colleghi.

Aveva un garbo d’altri tempi ma era anche un comunicatore moderno capace di parlare a tutti senza presunzione, pur essendo, nel suo campo, una delle figure apicali del panorama scientifico internazionale. In qualche modo potremmo definirlo il Freud del mondo animale - e qui molti puristi si scandalizzeranno - per la sua profonda attenzione al comportamento sociale degli animali. E ancor più a quello sessuale, soprattutto in relazione ai ruoli parentali, un lavoro notevolissimo e originale che ha fatto fare molti passi avanti all’etologia moderna. Si deve a lui il rafforzamento, ad esempio, della teoria del comportamento adattativo come un qualcosa di comune a molti esseri viventi e non singola peculiarità dei soli esseri umani, perché «si deve ritenere intelligente, in senso lato, ciò che ti aiuta a stare al mondo.

Non serve una mente per vivere». I fondamenti dell’etologia cognitiva che era al centro dei suoi studi e anche delle sue lezioni - era docente emerito alla Ca’ Foscari oltre che membro dell’Accademia delle Scienze - e che ha reso tridimensionale la nostra visione di un mondo che altrimenti viveva di stereotipi e generalizzazioni non di rado totalmente errate.

Ambientalista senza fanatismi, come dimostra la sua posizione com- plessa sulla vivisezione, era per un intervento mai paternalista sulla natura - assegnare dunque comportamenti umani agli animali per renderli più vicini alla nostra comprensione - ma culturale: la sua prosa nitida e mai difficile nasceva dal suo impegno decennale nell’educazione ambientale per i bambini, baluardo dell’unico possibile cambiamento nel nostro rapporto con il mondo esterno ( e non a caso era favorevole alla pet therapy, utile soprattutto per i bimbi, in una sorta di rapporto di mutua assistenza).

Se ne va lasciandoci una collana di libri curati da lui per il Corriere della Sera - e che ha introdotto con un articolo solo due giorni fa, nel pieno della lunga malattia che lo ha tormentato negli ultimi tempi e che si apre con un «Vi racconto il cane vero», tipico esempio del suo atteggiamento quasi garibaldino nel demolire le nostre sovrastrutture per sostituirle con l’osservazione scientifica, con la capacità di non smitizzare ciò che amiamo, ma di renderlo forse più romantico nella sua realtà.

E se i suoi 83 anni, a voi che non lo conoscevate ( difficile, il suo volto lo avete visto tutti e spesso), vi suggeriscono la figura di uno scienziato vecchia maniera, dovevate godervi i suoi pezzi, in tv o su carta stampata, quando partiva, magari da un video su youtube o quelli sui siti dei famosi “gattini” per smontare le leggende metropolitane e dare spiegazioni accurate di comportamenti così apparentemente strani da divenire virali e a volte anche deformanti.

Lui studiava i casi, i racconti, i video e ci costruiva su lezioni mirabili di etologia, del meccanismo complesso e allo stesso tempo perfetto del sistema animale, riportando alla scienza ciò che un abile montaggio o una romantica testimonianza avevano portato altrove.

Dice sua moglie che se n’è andato con un sorriso. Forse perché avrà sognato di reincarnarsi in un uccello per provare “la meravigliosa esperienza del volo” ( era anche stato presidente della Lipu). Speriamo sia così: in quel caso, almeno, l’animale avrà davvero comportamenti umani.