Sotto accusa la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza adottata in Italia. A farlo è la grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza di parziale condanna all’Italia a seguito di un ricorso presentato da Angelo De Tommaso. Un caso che farà giurisprudenza. Vediamo i fatti. Il 22 maggio 2007 la Procura della Repubblica di Bari ha ritenuto che De Tommaso debba essere sottoposto a una misura di sorveglianza per due anni e impone una misura obbligatoria. Il pubblico ministero ha sostenuto che aveva precedenti penali per traffico di droga, fuga e possesso illegale di armi, era in contatto con alcuni criminali ed era un individuo pericoloso. De Tommaso ha impugnato la misure del pm, sostenendo che vi era stato un caso di scambio di identità e che nessuna accusa penale era stata portata contro di lui. In una decisione dell’ 11 aprile 2008 il Tribunale distrettuale di Bari ha posto De Tommaso sotto misura di sorveglianza speciale di pubblica sicurezza per due anni. L’ufficio giudiziario ha dichiarato che i requisiti stabiliti dalla legge erano stati soddisfatti, non essendoci dubbio che egli era pericoloso. A parere della Corte distrettuale, De Tommaso ha tendenze criminali, e le prove hanno dimostrato che egli aveva tratto beneficio da reati e che la maggior parte dei suoi mezzi di sussistenza provenivano da attività criminali. Fra le prescrizioni imposte dal Tribunale è il caso di ricordarne alcune: doveva “condurre una vita onesta e rispettosa della legge”, “evitare di entrare in relazione con pregiu- dicati”, “evitare di frequentare bar, discoteche, sale giochi, manifestazioni pubbliche”.

Il 14 luglio 2008 De Tommaso fa ricorso alla Corte d’Appello di Bari. I giudici gli hanno dato ragione e hanno revocato il provvedimento riscontrando che non rappresenta una vera e propria pericolosità sociale. Per conseguenza, la misura viene disapplicata a partire dal gennaio 2009. La Corte d’Appello ha anche sottolineato che i reati attribuiti a De Tommaso non erano stati commessi da lui, ma da un’altra persona con lo stesso nome. Infine, la Corte ha dichiarato che il tribunale di Bari aveva omesso di valutare l’impatto dello scopo riabilitativo della pena inflitta. A quel punto, per la misura applicata in precedenza, De Tommaso ha deciso di fare ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo invocando nell’ordine: la violazione dell’art. 5 ( la misura di prevenzione avrebbe leso il proprio diritto alla libertà); violazione dell’art. 2 ( la misura avrebbe altresì ingiustamente impedito di godere della libertà di circolazione); violazione dell’art. 6 ( il processo sarebbe stato ingiusto sotto il duplice profilo dell’assenza di una pubblica udienza e di altre censure di iniquità) e violazione dell’art. 13 ( lo Stato italiano non avrebbe garantito un rimedio effettivo contro il provvedimento di applicazione della misura).

Per il massimo organo giurisdizionale della Corte europea dei diritti dell’uomo, la misura di prevenzione della sorveglianza speciale imposta al ricorrente non era equiparabile a una privazione della libertà personale, con la conseguenza che non è stato violato l’articolo 5 della Convenzione europea sul diritto alla libertà personale, ma riconosce una violazione dell’articolo 2 sulla libertà di circolazione. Quello che non convince la Corte è l’applicazione di misure preventive senza che gli individui possano sapere con chiarezza quali comportamenti, ritenuti pericolosi per società, possono far scattare l’applicazione dei provvedimenti. Di conseguenza, poiché la legge in vigore all’epoca della vicenda non aveva indicato con precisione le condizioni di applicazione e, tenendo conto dell’ampio margine di discrezionalità concesso alle autorità nazionali competenti, l’Italia ha violato la Convenzione, con una evidente ingerenza nel diritto alla libertà di circolazione. “Tanto più – ricorda la corte di Strasburgo nella sentenza – che al ricorrente non era stato imputato un comportamento o un’attività criminale specifica perché il tribunale competente aveva soltanto richiamato il fatto che aveva frequentazioni assidue con criminali importanti”.

Che cos’è la sorveglianza speciale? È un insieme di misure di prevenzione applicabili a soggetti ritenuti socialmente pericolosi e finalizzate a prevenire la commissione di reati. Le misure di prevenzione sono piuttosto numerose anche perché sono state aumentate dal legislatore con successivi interventi in materia di lotta al terrorismo, al traffico degli stupefacenti e alla criminalità organizzata. La sorveglianza speciale viene applicata principalmente nei confronti di tre categorie di persone: per coloro che debbano ritenersi, sulla base di elementi di fatto, abitualmente dediti a traffici delittuosi; per coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose; per coloro che, in base al comportamento, debba ritenersi che siano dediti alla commissione di reati che offendono o mettono in pericolo l’integrità fisica o morale dei minorenni, la sanità, la sicurezza o la tranquillità pubblica. Nel 2011 tale misura è stata estesa ad altre categorie di persone, quali ad esempio gli indiziati di appartenere alle associazioni mafiose o coloro che, operanti in gruppo od isolatamente, pongono in essere atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato. L’applicazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale può essere proposta dal questore, dal procuratore nazionale antimafia, dal procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove dimora la persona e dal direttore del distretto nazionale antimafia. La proposta è presentata al presidente del Tribunale del capoluogo della provincia in cui la persona dimora il quale fisserà la data dell’udienza che, di norma, si svolge senza la presenza del pubblico, a meno che l’interessato chieda che si svolga pubblicamente. A seguito dell’udienza, il giudice stabilirà se applicare o meno la misura di prevenzione della sorveglianza speciale e, qualora la disponga, nel provvedimento stabilirà la durata che non può essere inferiore ad un anno né superiore a cinque. Alla sorveglianza speciale può essere aggiunto, a seconda delle circostanze, il divieto di soggiorno in uno o più comuni o province, o alternativamente l’obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di dimora abituale. La sorveglianza speciale, da quanto è stata legiferata, è al centro di discussione tra costituzionalisti. Due sono le scuole di pensiero. Quella prevalente è teso ad affermare la compatibilità delle misure di prevenzione con la Costituzione, quella minoritaria invece è volto ad affermarne l’incompatibilità. Secondo quest’ultimo orientamento, la Costituzione – in particolar modo l’articolo 13 - non consentirebbe misure di prevenzione che restringano la libertà personale. Secondo la scuola di pensierio prevalente, invece, prevenire il reato è compito imprescindibile dello Stato, sicché deve essere riconosciuta la doverosità costituzionale di tali misure.