Secondo quanto detto da Carlo Russo ad Alfredo Romeo, Tiziano Renzi sarebbe stato «a disposizione» dell'imprenditore napoletano. Lo si dedurrebbe da un'intercettazione ambientale effettuata lo scorso 27 settembre, nell'ufficio di Romeo a Roma.  L’amico di Renzi senior riferisce della profferta di aiuto che Tiziano intende assicurare: «Tiziano gli chiede, mi chiede... anzi mi dice di chiederle... se per lei non è un problema, dice che lui è a disposizione, qualsiasi cosa gli manda un m... Però dice aspettiamo dopo il referendum». Parole sussurrate, a bassissima voce: segno per gli inquirenti che i due indagati (Romeo è stato arrestato mercoledì scorso) già all’epoca temevano di essere intercettati. Dalla circospezione con cui il papà dell’ex premier organizza gli appuntamenti con gli altri soggetti coinvolti nell’inchiesta Consip, si deduce che qualcuno aveva informato l’intera presunta cricca dei controlli su telefonate e messaggi. La Procura di Roma lascia filtrare elementi di dettaglio delle indagini. Oppure si dovrebbe dedurre che per qualche inspiegabile ragione abbiamo deciso di farlo i difensori. Improbabile. Allo stesso modo pare assai incerta la natura della «disponibilità» assicurata da Renzi senior a Romeo per interposto Carlo Risso: si tratta di una generica offerta di mediazione? In cambio Romeo ha pagato soldi a Tiziano Renzi? E soprattutto: se pure fosse dimostrata quest’ultima ipotesi, possibile che l’ex presidente del Consiglio ne fosse al corrente e non abbia fatto nulla per placare l’attivismo corruttivo del genitore? E infine: se la consapevolezza di Matteo non è rilevante agli occhi del tribunale mediatico insediatosi a fianco della Procura di Roma, perché mai l’ex premier-segretario dovrebbe dare spiegazioni o comunque rispondere della vicenda? Più va avanti l’indagine, più se ne diffondono dettagli inspiegabilmente numerosi, più aumentano contemporaneamente le domande sul senso ultimo dell’ennesimo carnevale mediatico giudiziario. Matteo Renzi d’altronde ha cominciato ieri sera a dare delle risposte. Negli studi di La7, intervistato a Otto e mezzo, da Lilli Gruber, ha usato toni molto duri: «Se mio padre è colpevole, spero che prenda il doppio della pena». Ha poi difeso l’amico Lotti che «non si deve assolutamente dimettere». La domanda è arrivata anche sulla condanna a Verdini: «È una condanna pesante che, se fosse confermata in via definitiva, sarebbe un fatto grave con conseguenze pesanti». Ma la preoccupazione di Matteo ora è tutta per il padre. Il quale sempre ieri è stato interrogato dal procuratore aggiunto di Roma Paolo Ielo, coordinatore dell’intera complicata indagine, e da Celeste Carrano, uno dei sostituti della Procura inizialmente attiva sul dossier Consip, quella napoletana. Dopo quattro ore negli uffici di piazzale Clodio, Tiziano Renzi è uscito senza rilasciare dichiarazioni. Lo ha fatto il suo difensore Federico Bagattini: «Questo di cui ci stiamo occupando è un classico, tipico, caso di abuso di cognome. Qualcuno, cioè, ha abusato del nome di Tiziano Renzi». E ancora: «Tiziano Renzi non è mai stato in Consip e non ha mai preso soldi», spiega il legale. In una giornata in cui il lavoro degli inquirenti si è intrecciato con le coltellate fratricide arrivate a Lotti dall’interno del Pd e in particolare da Michele Emiliano, un altro inyterogatorio si è svolto a Firenze: quello di Carlo Russo, a cui hanno provato a rivolgere domande il sostituto della procura di Roma Mario Palazzi e il suo collega partenopeo Henry John Woodcock. Hanno registrato il silenzio di Russo che, attraverso i suoi legali, gli avvocati Gabriele e Marco Zanobini, si è avvalso della facoltà di non rispondere. A Russo i magistrati contestano lo stesso reato ipotizzato per Renzi senior: traffico di influenze. Secondo gli inquirenti infatti «entrambi si facevamo promettere indebitamente utilità a contenuto economico, consistenti nell’erogazione di somme di denaro mensili» da Romeo. Soldi che sarebbero serviti per ricompensare Tiziano Renzi e Russo capaci di contattare Luigi Marroni, amministratore delegato di Consip per fare ottenere a Romeo gli appalti su cui aveva puntato. «Carlo Russo si è avvalso della facoltà di non rispondere su nostra precisa indicazione – ha detto il legale Gabriele Zanobini. – È regola del nostro studio non far rispondere i nostri assistiti quando non si conoscono gli atti. Quando avremo una condizione di parità, perché gli atti saranno depositati, allora risponderemo».