I suicidi in carcere arrivano a Montecitorio. Il ministro della Giustizia Andrea Orlando ha risposto all’interrogazione del deputato di Scelta civica Luca D’Alessandro sui dati relativi ai casi di suicidio, di tentato suicidio e di autolesionismo verificatisi negli istituti penitenziari. Il deputato, durante il question time della Camera, ha posto anche l’attenzione sul sovraffollamento indicando una quota consistente di detenuti in attesa di giudizio. Il ministro Orlando ha risposto che i drammatici eventi di questi giorni riportano all’attenzione i casi di autolesionismo e i gesti estremi che portano alla morte, ma ha tenuto però a precisare che nell’ultimo triennio i casi di suicidio sono diminuiti e che la situazione, in generale, è lievemente migliorata. Un fenomeno, tiene comunque a sottolineare il ministro, che non è da sottovalutare e impone uno sforzo da parte di tutti gli attori del mondo penitenziario.

Il Guardasigilli ha ricordato che, alla luce delle analisi degli Stati generali dell’esecuzione penale, il 5 maggio aveva indirizzato una direttiva al Dap per predisporre un piano di intervento per scongiurare i suicidi. Su Il Dubbio era stata riportata la direttiva che prevedeva, infatti, lo sviluppo di opportune misure di osservazione del detenuto, differenziate a seconda della fase trattamentale e con particolare attenzione ai soggetti tossico- alcool dipendenti; una adeguamento degli spazi detentivi destinati all’accoglienza dei soggetti a rischio, secondo criteri moderni e rispettosi della dignità della persona; l’organizzazione di programmi formativi specifici per tutti gli operatori, favorendo l’interazione anche con coloro che da esterni operano nell’’ Istituto. Secondo la direttiva emanata dal ministro Orlando, il Dipar- timento dell’amministrazione penitenziaria deve predisporre un Piano nazionale d’intervento, tenendo conto anche della giurisprudenza della Cedu in materia e in linea con quanto elaborato dal Comitato Nazionale di Bioetica nel 2010. Queste linee guida in realtà dovevano essere state messe in atto già da diversi anni.

La conferenza Stato- Regioni, con accordo sottoscritto il 19 gennaio 2012, aveva impegnato le rispettive amministrazioni, attraverso le proprie articolazioni territoriali, a costituire all’interno di ciascun osservatorio regionale permanente sulla sanità penitenziaria, un gruppo di lavoro tecnico-scientifico con lo specifico mandato di procedere a una ricognizione dell’esistente in termini di disposizioni normative e pratiche già in atto. Al question time, Orlando ha annunciato che per il oggi ha convocato un incontro con tutti i provveditori regionali per fare il punto della situazione sugli interventi predisposti dalla sua direttiva. Inoltre ha annunciato che sono in corso accertamenti amministrativi sui casi di suicidio nel carcere bolognese della Dozza e quello napoletano di Poggioreale.

Luca D’Alessandro, nella controreplica, si è detto insoddisfatto della riposta, sostenendo che ci vorrebbe una soluzione adeguata per ridurre l’abuso della carcerazione preventiva. Ha spiegato di essere consapevole della difficoltà da parte del ministro nel combattere “la potente lobby dei magistrati”. D’Alessandro, un ministro che fa entrambe le cose si trova in una posizione “anomala”. Delusione anche da parte dell’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini che ha assistito al question time dalla tribuna della Camera: «Continua a sottovalutare il problema del sovraffollamento quando tutti coloro che si occupano del carcere sollevano che la tendenza è in aumento. Dire che ha chiesto al Dap di fare una prevenzione dei suicidi, non basta. Ci sono istituti penitenziari completamente abbandonati. Esistono zone di sovraffollamento e di dimenticanza dove non è possibile compiere attività trattamentali e che non prendono in considerazione i detenuti con problemi psichici e sanitari, tossicodipendenti e persone lontane dai luoghi di origine». Bernardini ha osservato che tra il botta e risposta è emersa la volontà di non prendere in considerazione l’amnistia e l’indulto: «L’amnistia è un provvedimento che servirebbe soprattutto per sfoltire le scrivanie dei magistrati dai procedimenti bagatellari. Escluderla significa affidare completamente ai magistrati, attraverso le prescrizioni, quali sono i reati da far cadere in prescrizione e quali invece sono i processi da celebrare. Ma significa anche far tornare in carcere persone che hanno commesso il reato tanti anni fa e che si vedono arrivare la condanna quando magari sono riusciti da soli a ritrovare un equilibrio. La giustizia ritardata è giustizia negata: diventa un problema sociale anche per le vittime».