Dal 1991, anno nel quale cadde il dittatore Siad Barre, la Somalia è sprofondata in una guerra civile violenta e difficile da decifrare, tanto che l’Onu tra il 1994 e il 1995 ha ritirato le sue truppe nell’evidente incapacità di garantire sicurezza alla popolazione e fermare le parti coinvolte nel conflitto.

Successivamente intervenne sul campo anche l’esercito etiope e di nuovo la comunità internazionale ma nel caos generato divennero forti anche signori della guerra e milizie islamiche come quella di Al- Shabaab. Una situazione che, nonostante nel 2012 si sia formato un governo di tipo federale che avrebbe dovuto iniziare un processo di riconciliazione, continua a rimanere pericolosissima e caotica. A farne le spese in maniera rilevante, come in quasi tutti i conflitti, sono i civili e in particolar modo i bambini. Quest’ultimi infatti stanno diventando sempre di più dei docili e maneggevoli strumenti di morte.

L’allarme è stato reso pubblico dall’Onu in occasione della giornata contro l’uso dei bambini soldati il 12 febbraio scorso. Sebbene il 6 marzo del 2014 le Nazioni Unite abbiano lanciato la campagna “Children, not soldiers” per porre fine a questa pratica entro il 2016, l’obiettivo non è stato di certo raggiunto, anzi con l’aumentare dei conflitti la situazione è peggiorata. Human Rights Watch e Unicef hanno documentato come in Sud Sudan, Congo, Repubblica Centroafricana o in Iraq le cifre riguardanti i bambini soldati sono allarmanti, stesso discorso vale per la Nigeria dove agisce Boko Haram.

Il Direttore generale dell’Unicef Paolo Rozera e il rappresentante del Segretario Generale Onu hanno messo in evidenza come in Somalia «tutte le parti in conflitto sono coinvolte, e in alcuni casi vengono reclutati anche bambini di nove anni. Recenti rapporti indicano che le scuole sono utilizzate come centri di reclutamento e che i bambini soldati vengono spesso picchiati o giustiziati dopo la cattura.

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L’utilizzo di bambini da parte dei gruppi e delle forze armate è un crimine di guerra. Dobbiamo fermarlo immediatamente. Tutte le parti coinvolte devono rilasciare i bambini. L’impunità deve cessare e gli autori devono essere assicurati alla giustizia». La relazione dell’Onu individua le maggiori responsabilità nel gruppo islamico di Al- Shabaab che fa combattere anche bambini di nove anni, ai piccoli viene insegnato a sparare e maneggiare esplosivi, inoltre i minorenni possono con maggiore facilità trasportare materiali ed occuparsi dei servizi di pulizia. Non ultimo è il loro uso come spie. I dati raccolti sono impietosi: è accertato l’arruolamento forzato di 6.163 bambini ( 5.993 ragazzi e 230 ragazze) nel periodo che va dal 1 aprile 2010 al 31 luglio 2016, con oltre il 30% dei casi nel 2012. Se Al- Shabaab fa la parte del leone in questo macabro gioco con il 70% dei casi, è stato rilevato che anche l’esercito fedele al governo di Mogadiscio non è esente da questa pratica. Il rapporto Onu infatti ha raccolto le prove di 920 arruolamenti di bambini.

Il meccanismo che fa cadere nella trappola fa leva sul bisogno, ai bambini infatti viene promesso che avranno un lavoro pagato e che potranno studiare. Una volta indossata un’uniforme però la strada in molti casi sembra essere segnata, il coinvolgimento in azioni di guerra determina drammi psicologici e fisici, gli stessi minori poi diventano, una volta adulti, reclutatori. Esistono poi anche responsabilità europee, in un focus dedicato alla Somalia l’Archivio Disarmo ha ricordato come nel novembre 2015 il Senato italiano ha approvato il Disegno di “Ratifica ed esecuzione dell’accordo tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo federale della Repubblica di Somalia in materia di cooperazione nel settore della difesa”, praticamente con questo provvedimento si incentiva il commercio di armi con la Somalia, un accordo che si accompagna al ruolo di Mission Commander assegnato all’Italia nell’ambito della missione di addestramento delle forze di sicurezza somale Eutm Somalia. Tale cooperazione non contribuisce a spegnere il conflitto e si sostituisce a missioni umanitarie che potrebbero essere volte a limitare l’uso di bambini soldato.