Perché nessuno ha chiesto a Fittipaldi ( e a Lillo) chi gli aveva fornito le informazioni segrete su Virginia Raggi?

Mi spiego meglio: Emiliano Fittipaldi è un giovane e molto brillante giornalista dell’Espresso, che ha anche già vinto diversi premi giornalistici ed è diventato famoso per il suo libro sui segreti del Vaticano. Marco Lillo è un altrettanto brillante e giovane giornalista del Fatto Quotidiano, anche lui ha vinto premi e scritto libri interessanti su vari scandali italiani. Giovedì hanno messo a segno un nuovo colpo giornalistico. Hanno rivelato che Virginia Raggi è beneficiaria di alcune polizze di assicurazione sulla vita, sottoscritte dal suo fido collaboratore Salvatore Romeo. Caso Raggi, il più grande spettacolo dopo il Big bang...

Esiccome Virginia Raggi, quando è diventata sindaca, ha promosso Romeo e gli ha assegnato uno stipendio tre volte maggiore dello stipendio che lui prendeva fino a quel momento... siccome, siccome, siccome.

Ieri i magistrati ci hanno detto di aver esaminato la questione e che non c’è reato. Tra qualche riga proveremo a ragionare su questo, e sul rapporto tra reato, scandalo ed etica politica. Prima però vorremmo fare osservare una cosa, tornando alla domanda con la quale abbiamo iniziato questo articolo. Giovedì sera Fittipaldi ha partecipato a varie trasmissioni televisive. Insieme ad altri giornalisti che l’hanno intervistato. A tutti era chiara, immagino, una cosa: che Fittipaldi, divulgando la notizia sulle polizze pro– Raggi, che fino a quel momento era conosciuta solo dai magistrati che indagano e dai loro collaboratori ( e non era conosciuta neppure dalla Raggi né dai suoi avvocati), stava commettendo un reato. E che dietro al reato di Fittipaldi – considerato generalmente un non reato nella cultura giornalistica più diffusa, in quanto “imposto” dall’etica professionale, e cioè dall’obbligo di scrivere le notizie di cui si viene a conoscenza – c’era un altro reato, più grave, e cioè la violazione del segreto d’ufficio. Qualcuno, magari una talpa dentro la Procura, aveva fatto trapelare la notizia violando apertamente la legge e commettendo un reato per il quale il codice prevede fino a tre anni di prigione.

E’ un dettaglio da niente nella vicenda Raggi? È una bazzecola che non interessa a nessuno? Non conta nulla sapere che su questa storia della sindaca di Roma si sta costruendo uno spettacolo politico clamoroso, che forse è teleguidato da qualcuno, forse da nessuno, ma comunque è indecente? E i giornalisti, quando fanno il loro lavoro, devono o no – per etica professionale – trovandosi davanti a una persona che sa chi, da dentro la Procura, ha commesso un reato, chiedergli: «Ma chi te le ha fornite queste informazioni segrete?».

Può darsi che sia colpa mia, che non ho capito niente di quale sia il senso di questa professione che esercito da 40 anni. Può darsi che l’etica giornalistica vera sia quella di “demistificare”, di strappare i “veli” che il potere usa per coprirsi e confondere l’opinione pubblica, però che questa etica abbia dei limiti, e che questi limiti siano quelli di considerare intoccabili il giornalismo stesso e il potere giudiziario. Perché? Perché giornalismo e potere giudiziario, in stretta alleanza, combattono una battaglia di moralizzazione che non può essere vinta senza compiere azioni immorali.

Può darsi che sia così. Oppure può darsi che più semplicemente la degenerazione del giornalismo giudiziario e spionistico – che spesso, del tutto impropriamente, si fa chiamare giornalismo d’inchiesta – sta raggiungendo vette inesplorate. E che in questa sua corsa ( che secondo me è una corsa verso l’auto– annientamento) il giornalismo italiano abbia un complice fedele, che sta lì non solo per aiutarlo, ma per stimolarlo, spingerlo, talvolta costringerlo a razzolare nel fango. E che questo alleato, troppo spesso, si nasconda all’interno di diverse Procure ( come molto recentemente segnalato dal Presidente della Corte di Cassazione in persona, e prima ancora da vari Procuratori, come quello di Roma, quello di Firenze, quello di Napoli e quello di Torino, che provarono a metter un freno alla fuga di notizie sulle intercettazioni).

Queste cose le abbiamo scritte sul “Dubbio” molte altre volte. Qual è la novità? Che stavolta a finire sotto il lancio del “fango” è finito il partito che più di tutti gli altri, fino a qualche mese fa, aveva sostenuto i lanciatori di fango, le fughe di notizie, i cacciatori di dimissioni. Intendo dire il partito dei 5Stelle.

Sarebbe da sciocchi cercare una rivalsa. Dire: ben vi sta. Avete linciato metà classe politica e ora prendetevi la vostra giusta dose di linciaggio. Sarebbe da sciocchi anche perché, a occhio, Virginia Raggi non ha commesso proprio nessun reato, né con le polizze, né con la promozione di Marra, né con nient’altro. Così come non avevano commesso nessun reato ( magari ogni tanto va anche ricordato) circa 3000 dirigenti politici che furono coinvolti ( e molti arrestati) negli anni del fuoco e del ferro di Tangentopoli.

Invece forse è il momento di riconsiderare il “forcaiolismo” a fasi alterne che ha coinvolto l’intero mondo politico negli ultimi trent’anni. E’ inutile negarlo, tutti ( centrosinistra, grillini e persino centrodestra) hanno sperato di ottenere vantaggi dal meccanismo delle calunnie e dei sospetti guidato da settori abbastanza larghi del giornalismo e della magistratura. Nell’illusione, ciascuno, di poter danneggiare gli avversari e ottenere vantaggi. Se la politica facesse un patto nel quale si stabiliscono regole di comportamento molto rigorose per i propri esponenti e si rinuncia però alle campagne denigratorie contro gli avversari, tutta la macchina del fango si sgretolerebbe. E anche i giornalisti e i magistrati infedeli resterebbero a bocca asciutta.

Però ci vorrebbe un po’ di coraggio. E nel mondo politico, oggi, il coraggio è merce rara.