«Restiamo su posizioni diverse, possiamo dissentire su aspetti tecnici della riforma del processo: ma noi avvocati e voi magistrati sappiamo cosa serve alla giustizia, e se stabiliamo un’alleanza possiamo avere una forza politica straordinaria». Andrea Mascherin propone un patto della giurisdizione a Piercamillo Davigo. Che resiste, esibisce scetticismo, trova mille “orpelli del processo” sui quali mai la classe forense potrebbe concordare con i giudici. Ma alla fine di una lunghissima e appassionante discussione al Centro fiere e congressi di Arezzo, fa un passo avanti molto concreto: «Direi assolutamente di sì» alla presenza con pieno potere del presidente dell’Ordine distrettuale all’interno dei Consigli giudiziari. Che sembra niente, ma con il clima che si è creato nel dibattito sulla giustizia, da un paio di giorni a questa parte, è tantissimo.

Finisce insomma con un interessante passo verso il dialogo il primo incontro a cui Davigo si concede, da quando è presidente Anm, con il vertice del massimo organismo di rappresentanza dell’avvocatura. Andrea Mascherin era già presidente del Consiglio nazionale forense quando, nell’aprile dell’anno scorso, l’ex pm di Mani pulite è stato eletto alla guida dell’Associazione magistrati. Si tratta dunque di un inedito assoluto, in cui però l’asprezza dei contrasti si stempera in una vicinanza di fatto su alcuni aspetti decisivi come la necessità di mettere la giustizia «dalla parte dei cittadini». Anche se Davigo non rinuncia alle provocazioni che finiscono per intrattenere il pubblico, composto in maggioranza da avvocati.

DAVIGO: PALAMARA SI UNIFORMI

Il faccia a faccia dal vivo si celebra il giorno dopo la cerimonia inaugurale del’anno giudiziario che l’Anm ha disertato per protesta. E così al tema dell’incontro ci si arriva dopo aver ascoltato dal leader delle toghe le ragioni di un dissenso tanto clamoroso. «Magistratura e avvocatura: un confronto per una Giustizia condivisa, più efficiente e più giusta», è il titolo scelto dalla Fondazione per la Formazione forense, organizzatrice dell’evento. Confronto che giove- dì mattina in Cassazione è avvenuto in un quadro reso anomalo dall’assenza della magistratura associata. Davigo arriva subito al punto: «Non si può andare a una inaugurazione a sentire un ministro che aveva preso un impegno scritto e poi non l’ha mantenuto», è la spiegazione che il presidente Anm fornisce. Stoccata al guardasigilli Andrea Orlando, che aveva ribadito la volontà di intervenire su pensioni e trasferimenti con una nota al sindacato dei giudici. Torna la polemica sul decreto Cassazione con cui, secondo l’ex pm del Pool, «il governo si è scelto i magistrati da solo». Ma il vero bersaglio, ancora più che Orlando, è quella parte della magistratura associata che ha disconosciuto l’iniziativa della giunta Davigo in tempo reale, innanzitutto il togato di Unicost ed ex leader del “sindacato” Luca Palamara: «Anche lui fa parte dell’Associazione, ha avuto la possibilità di dire la sua. Dopodiché una volta che una decisione è presa, per giunta all’unanimità, dovrebbe fare la cortesia di uniformarsi» .

MASCHERIN: PM E AVVOCATI FORZE AUTONOME

Mascherin non manca di ricordare al “rivale” che le battaglie come quella sulle pensioni sono incomprensibili per l’opinione pubblica: «Anche quando sono sorrette da questioni di principio come quella relativa all’autonomia, è difficile che le persone comprendano. Esattamente come quando noi parliamo di tariffe o eccessiva pressione fiscale: non si pensa alla giusta rivendicazione, solo al fatto che vogliamo guadagnare di più». E oltrettutto, aggiunge, «se avessimo disertato l’anno giudiziario tutte le volte che la politica ci ha maltrattati, non ci saremmo andati quasi mai». Dopodiché il presidente del Cnf indica in avvocati e magistrati «due forze autonome dagli altri poteri in grado di assumere un ruolo forse inedito ma naturale: essere guida di un riscatto civile, esercitare un ruolo sociale e svolgere una funzione di indirizzo della politica in un momento in cui i diritti, soprattutto dei più deboli, sono messi in discussione». Il vero nemico per il giudice, secondo il leader dell’avvocatura, «non è il difensore, ma l’idea che possa essere, per esempio, l’economia a imporre le proprie regole al diritto e non viceversa». Il principio è che «noi sappiamo cosa serve alla giustizia, e invece ci troviamo spesso di fronte all’esercizio abusivo della professione di legislatore». Ma il patto deve sostanziarsi in qualcosa: il presidente del Cnf accenna alla presenza degli avvocati nei Consigli giudiziari anche in sede di valutazione della professionalità dei magistrati. E a sorpresa, dopo l’iniziale schermaglia, Davigo dice «sì» senza riserve particolari alla presenza del presidente dell’Ordine distrettuale. «Non a un rappresentante dell’avvocatura eletto, però: siamo un Paese di cialtroni, il giorno dopo il suo studio sarebbe invaso dai clienti, a discapito degli altri avvocati».

«PROCESSI EFFICIENTI. NON COME IN COREA»

Il vertice del Consiglio nazionale forense chiede conto all’interlocutore della sua polemica sul numero chiuso a Giurisprudenza: «L’abbiamo interpretata come un progetto di decimazione economica degli avvocati». «Non è così», è la risposta di Davigo, «intendevo dire che abbiamo un numero abnorme di avvocati ma non che sono gli avvocati a fare in modo che le cause aumentino». Incidente chiarito, almeno in parte. Sul numero chiuso anche Mascherin è «aperto» visto che «non è possibile che si scelga la professione forense solo perché si è fallito il concorso da notaio o da magistrato». D’altronde sull’efficientismo processuale le distanze restano: Davigo vorrebbe «evitare che la formazione della prova debba avvenire davanti al giudice fino al punto da escludere le testimonianze de relato, e comunque», è forse il passaggio più controverso del magistrato, su questo punto, «pretendere l’assoluta verginità cognitiva del giudice è assurdo: è giusto invece che chi deve decidere lo faccia anche sulla base della propria esperienza, e cioè del fatto che la maggior parte degli imputati è colpevole». Punti sui quali Mascherin dissente in modo radicale, perché «la prova non può che formarsi nel contraddittorio: solo su quest’ultimo chi giudica può fare la propria sintesi». E poi, ricorda il presidente del Cnf, «mi tengo stretto il nostro sistema di garanzie: in Corea del Nord l’esecuzione penale è rapidissima, ma non importerei quel modello…». Davigo è sicuro: «Alcune riforme possono voler dire anche riduzione delle udienze: siete convinti vi convenga discuterne con noi?». Ma Mascherin non deflette dall’apertura iniziale. E pur dopo aver cercato di mettere alla prova la controparte, anche Davigo sa, da ieri, che sul dialogo con gli avvocati vale almeno la pena di tentare.