Forse è il caso di detenuto in attesa di giudizio più lungo della storia. Jerry Hartfield è accusato di un crimine commesso nel 1976 ed ha subìto un regolare processo solo nel 2015. Nel frattempo è rimasto in galera. Quando finalmente il processo è stato celebrato, le prove erano diventate irreperibili e i testimoni erano quasi tutti scomparsi. Il che non ha impedito alla giuria di emettere una sentenza di condanna che però è stata annullata nei giorni scorsi, come riporta “Nessuno tocchi Caino”, l’associazione italiana che si batte contro la pena di morte.

La Corte d’Appello del Texas per il 13° Distretto ha annullato tutte le accuse contro Hartfield, ex condannato a morte. Sessant’anni, nero, con Quoziente di intelliogenza molto basso, tra i 50 e i 60 punti, Hartfield era stato condannato a morte nel 1977 con l’accusa di aver molestato sessualmente e poi ucciso a scopo di rapina, il 17 settembre 1976, una bianca di 55 anni, Eunice Lowe. Tre anni dopo, nel 1980, il verdetto fu annullato dalla Texas Court of Criminal Appeals per irregolarità nella formazione della giuria popolare. La pubblica accusa impugnò l’annullamento del processo e della conseguente condanna. La sentenza di annullamento, però, venne confermata nel 1983. Di fatto, da quel momento, Hartfield si trova in carcere senza aver subìto un regolare processo e senza alcuna condanna. Poco prima che l’annullamento divenisse definitivo, infatti, l’allora governatore del Texas, Mark White, aveva commutato la condanna capitale in ergastolo senza condizionale. Una scelta umanitaria solo in apparenza. In realtà secondo molti esperti si trattava di una strategia studiata a tavolino dall’accusa per parare il colpo della sentenza annullata. La strategia funzionò.

Hartfield fu letteralmente dimenticato in carcere per 23 anni, fino al 2006. L’equivoco di fondo, in assenza di una adeguata assistenza legale, era quello di far scontare una condanna all’ergastolo emessa dopo un processo dichiarato irregolare e che pertanto avrebbe dovuto essere ripetuto. In certi casi l’assistenza legale è tutto, e negli Usa anche più che altrove. Nel 2006 Hartfield riuscì a segnalare il suo assurdo caso solo grazie un compagno di detenzione che lo aiutò a scrivere ( a mano) un ricorso, in cui chiedeva di essere riprocessato oppure liberato perché contro di lui non era stata rispettata la norma costituzionale che garantisce a ogni cittadino il diritto a “un processo in tempi rapidi”. La Corte d’Appello lesse e rigettò il ricorso. La giudice federale Lynn Hughes, invece, prese la decisione opposta e accolse il ricorso. Riconobbe che l’annullamento del verdetto di colpevolezza aveva la precedenza sulla commutazione, che quindi doveva essere considerata nulla come nullo doveva essere l’ergastolo. Si trattava infatti di una condanna emessa in assenza di un verdetto di colpevolezza.

La serie di ricorsi proseguì ancora per anni, tutti anni trascorsi da Hartfield nelle carceri del Texas. Solo nel giugno 2013 la Texas Court of Criminal Appeals confermò che, allo stato, Hartfield era detenuto senza una sentenza. E a quel punto la pubblica accusa si dichiarò pronta a ripetere il processo. Hartfield restò comunque in carcere. Nel 2014, infatti, un giudice statale ( Craig Estlinbaum) negò di nuovo la scarcerazione sostenendo che il ritardo nel ripetere il processo era imputabile all’imputato. In fondo era stato lui a non averlo sollecitato per tempo.

Quando finalmente il nuovo processo, cioè il primo regolare processo, si svolse, si concluse con un verdetto di colpevolezza, emesso nell’agosto 2015 dalla giuria popolare. Nei quasi tre decenni trascorsi dal primo processo però ci sono stati alcuni cambiamenti rilevanti. Condannare a morte un portatore di disabilità mentale è stato dichiarato incostituzionale, e quindi la pena capitale non poteva più essere chiesta. La pena dell’ergastolo senza condizionale, in compenso, non era prevista dal codice al momento del delitto. Quindi neppure questa condanna poteva essere richiesta. La pubblica accusa, anche nella speranza di smorzare le polemiche, si “accontentò” pertanto di chiedere, e ottenere, una condanna a 99 anni.

A prima vista si potrebbe dire che finalmente Hartfield era in carcere a ragion veduta. Mica vero. Se la stessa condanna fosse stata emessa nel 1977, il detenuto avrebbe già ampiamente maturato i termini per la libertà condizionale. Così invece niente da fare: i precedenti 40 anni spesi in galera erano una specie di ' bonus' carcerario.

Ora però la Corte d’Appello ha deciso che le imputazioni devono essere lasciate cadere perché non si è mai visto nella storia del Texas un tale ritardo nel garantire un processo a un imputato. La Corte ha ricordato di essersi in precedenza occupata di casi in cui il ritardo contestato era di 3 anni, 6 anni, 8 anni. Ma un ritardo di 32 anni, partendo dalla conferma nel’ 83 dell’annullamento del primo processo, non si era mai vista.

Non è chiaro se nel corso dei decenni i rappresentanti della pubblica accusa che si sono avvicendati nell’incarico siano stati consapevoli delle gravi irregolarità nel caso Hartfield. Consapevoli o meno, di certo c’è solo che nessuno ha fatto niente.

La pubblica accusa, in occasione del processo del 2015, ha sostenuto che quella di rimanere in silenzio senza insistere per un nuovo processo fosse una lucida strategia adottata dall’imputato, che avrebbe preferito restare nel limbo piuttosto che rischiare di essere ri- condannato a morte. La verità è che i “vecchi” difensori d’ufficio di Hartfield lasciarono l’incarico nel 1993 convinti di aver esaurito il loro compito, e un nuovo avvocato gli venne assegnato solo nel 2008 da un giudice federale.

Anche lo svolgimento dei processi presenta aspetti a dir poco discutibili. Il primo processo fu incentrato su una confessione ( poi ritrattata) dell’imputato, e soprattutto sul fatto che, a dire degli inquirenti, Hartfield aveva dato informazioni utili per il ritrovamento dell’ automobile della vittima. I difensori all’epoca contestarono però il comportamento della polizia, sostenendo che il basso QI dell’imputato lo rendeva estremamente “manovrabile”. Nel nuovo processo del 2015 la pubblica accusa è riuscita a riportare in aula solo uno dei 16 elementi probatori iniziali.

L’arma del delitto (un’accetta) nel frattempo è stata smarrita, così come sono andati perduti i reperti fisiologici (sangue e sperma per eventuali test del DNA mai effettuati), manca l’auto della vittima, i testimoni sono quasi tutti morti, e uno dei sopravvissuti è affetto da demenza senile. Eppure anche in simili condizioni Hartfield è stato di nuovo processato, e condannato. Ora quella sentenza è stata annullata, con l’obbligo per la pubblica accusa di ritirare tutte le imputazioni e se la decisione reggerà all’eventuale ricorso della pubblica accusa davanti alla Corte d’Appello di Stato ( la corte d’appello di grado superiore rispetto alla corte d’appello distrettuale che ha deciso oggi), Hartfield sarà scarcerato. Per ora, comunque, resta dove è sta da una quarantina d’anni tonda: in galera.