I magistrati non l’hanno scarcerato nonostante i medici avessero certificato che fosse in pericolo di vita. Avevano fissato per il 25 gennaio l’udienza del Riesame per discutere l’istanza di scarcerazione, ma Stefano Crescenzi è morto il 23.

L’uomo, 36 anni, era un detenuto in attesa di giudizio e in fin di vita in ospedale. L’avvocato aveva presentato l’istanza di scarcerazione e cura in un luogo più idoneo. La Corte d’Assise aveva rigettato l’istanza, perché, secondo i magistrati, permanevano le condizioni per l’esigenza di cautela processuale. Le sue condizioni poi sono peggiorate sempre di più, tanto che gli avvocati difensori hanno tentato di ottenere un’altra istanza di scarcerazione. L’urgentissima richiesta formulata dagli avvocati - con la certificazione sanitaria dell’ 11 gennaio dell’ospedale Don Bosco di Napoli che attestava l’imminente pericolo di vita - ancora non ha ricevuto risposta.

In attesa dell’udienza definitiva, la revoca non è arrivata e Stefano Crescenzi è morto. Era in custodia cautelare dopo la condanna di primo grado, alla pena di anni 23 di reclusione, Corte di Assise di Roma per l’omicidio di Giuseppe Cordaro avvenuto a Roma in via Aquaroni.

A causa delle sue gravissime condizioni di salute, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria aveva ritenuto che Crescenzi non potesse rimanere in un istituto penitenziario ordinario e ha deciso il suo trasferimento dalla casa circondariale di Livorno al centro clinico della casa circondariale di Napoli – Secondigliano. Il peggioramento, però, proseguiva. Infatti, subito, i sanitari del centro clinico della struttura penitenziaria napoletana si erano resi conto che non avrebbero potuto assicurare le cure necessarie al detenuto, le cui condizioni diventavano incontrollabili. Così, la direzione sanitaria del penitenziario partenopeo aveva deciso il trasferimento all’ospedale Cardarelli di Napone li, e, di lì, ancora, infine, in condizioni a dir poco preoccupanti, all’ospedale don Bosco di Napoli.

Ma il quadro clinico di Stefano Crescenzi non è mai migliorato e, secondo l’avvocato, la struttura non era idonea per la cura della patologia dell’uomo. Della vicenda se ne era occupato già Il Dubbio. Ad ottobre dello scorso anno, l’avvocato aveva presentato istanza di scarcerazione e cura in un luogo più idoneo, ma dopo quattro giorni l’istanza era stata rigettata. Secondo la Corte d’Assise rimaneva il pericolo sia di fuga che di recidiva. Un rigetto che lasciò di stucco l’avvocato difensore Dario Vannetiello del Foro di Napoli. Raggiunto da Il Dubbio, l’avvocato Vannetiello spiegò di aver inoltrato alla Corte la richiesta di «poter adottare con la massima urgenza tutte le iniziative opportune per salvare la vita del detenuto e, comunque, revocare la misura in atto o sostituire la stessa disponendo gli arresti domiciliari, anche sotto controllo del braccialetto elettronico, per curarlo presso un centro altamente specializzato per le cure della patologia da cui risulta affetto». L’avvocato, partendo dai presupposti di custodia cautelare: rischio di inquinamento prove, pericolo di fuga e rischio di reiteraziodella del reato sottolineò: «Per l’inquinamento di prove il rischio è superato avendo già la condanna di primo grado, per le altre due esigenze è impossibile che ci sia il rischio visto che attualmente è in coma con tanto di ventilazione e alimentazione artificiale». Ma la Corte decise che sussistevano le esigenze di custodia cautelare e che il detenuto doveva rimanere nell’ospedale dov’era in cura visto che, per le sue gravissime condizioni cliniche, era assolutamente impossibile il suo trasferimento.

Siccome le condizioni di Stefano Crescenzi continuavano a peggiorare, il 19 gennaio i difensori hanno depositato un’altra istanza, stavolta alla Corte d’assise d’appello. Richiesta, quest’ultima, corredata della certificazione sanitaria dell’ospedale «attestante che il detenuto era in imminente pericolo di vita». Nel frattempo, il 13 gennaio, c’era stata un’udienza davanti al Riesame, ma i giudici, riferiscono gli avvocati, anche se «avevano già ricevuto l’allarmante comunicazione dei sanitari del San Giovanni Bosco circa il rischio di morte del Crescenzi, hanno deciso di conferire un incarico peritale rinviando all’udienza del 25 gennaio». Data a cui il 36enne non è arrivato vivo.