Da Hammamet - Paola Sacchi

Il lungo tavolo rettangolare nel patio della casa di Hammamet, praticamente l’ultimo ufficio rimasto allo statista socialista in esilio Bettino Craxi, ora è completamente sgombro. Non c’è più la montagna di carte, di libri, e di lettere di gente comune ma anche di Francois Mitterand, di Felipe Gonzalez e Mario Soares, la triade del socialismo mediterraneo. Spira un vento gelido in Tunisia, nei giorni del diciassettesimo anniversario della scomparsa di Bettino, l’altro ieri omaggiato sulla sua tomba anche dal ministro degli Esteri Angelino Alfano. Che seppur leader del Nuovo Centrodestra è stato il primo esponente di alto rango di un governo di centrosinistra a recarsi nel piccolo cimitero cristiano, luogo simbolo della caduta della nostra Prima Repubblica.

Stefania Craxi scherza con amara e pungente ironia indicandomi la fontanella prima del patio: «Lo so, sarai delusa, qui non c’è più la fontana di piazza Castello che secondo i giornali italiani mio padre avrebbe rubato a Milano. Sai, l’abbiamo rispedita in Italia, con un carico speciale…».

I Craxi hanno sempre saputo affrontare con stile e grande dignità una tragedia che non è solo la loro, ma una tragedia politica italiana. Il tavolo del patio ora è vuoto e non c’è più neppure il gatto Nerino che passava ore accoccolato sulle ginocchia dell’ex premier e leader socialista. Mi racconta Anna Craxi, vedova di Bettino, facendo un rarissimo strappo al suo noto riserbo: «Nerino è morto, poco tempo dopo la scomparsa di Bettino». Anna Maria Moncini ( questo il suo cognome da nubile), figlia di un ferroviere socialista, la ex first lady italiana, forse la più discreta first lady di sempre, ha scelto di vivere qui, di restare vicina alle spoglie di suo marito. Aspira una sigaretta estratta da un pacchetto, elegantemente coperto da un astuccio rosa argentato, e mi racconta: «Sono contenta di tutte le visite e i riconoscimenti che ci sono stati per mio marito in questi anni. Iniziò Napolitano che per il decennale mi mandò un fax in cui riconobbe che per Bettino ci fu “una durezza senza uguali”, poi ieri ( l’altro ieri ndr) è venuto anche Alfano. Mi ha pure baciata…». Sorride. Ma poi Anna Craxi si ferma, la mente va indietro agli anni ( 1994- 2000), trascorsi in questa casa ( una villetta carina, ma niente di lussuoso, niente rubinetti d’oro come fu comicamente scritto, se la vogliamo prendere a ridere) da Craxi in esilio e confida: «Lui ha sperato fino alla fine di poter tornare in Italia. Certo, da uomo libero, come lui ha sempre detto. Ma intanto per farsi curare. Era gravemente malato. All’ultimo sperava che almeno gli sospendessero la pena per potersi salvare…». Che, insomma, almeno gli concedessero di poter tornare nel suo Paese per salvarsi la vita, senza due carabinieri dietro la porta d’ospedale come la Procura di Milano, invece ordinò. E Craxi, che sulla sua tomba ha fatto scrivere «La mia libertà equivale alla mia vita», a quel punto decise per la prima volta di obbedire, come ha scritto il direttore del Dubbio Piero Sansonetti, dicendo a se stesso: «Vogliono che muoia e così sia». E però la sua memoria resta sempre più viva e scomoda per l’Italia. Lui continua a restare il convitato di pietra della nostra politica, costretta ogni anno a ricordarlo in occasione dell’anniversario della sua morte. E non solo. Mi racconta la vedova Anna: «Pensa che abbiamo contato nel registro delle presenze al cimitero una cosa come 20.000 firme con tanto di dedica all’anno, le presenze però, dopo gli atti di terrorismo che hanno colpito la Tunisia, sono calate negli ultimi due anni. Ma in questi giorni ho perfino trovato firme di spagnoli, francesi, ma anche tedeschi. Quest’ultima un po’ una stranezza. Perché fino alla Francia di Mitterand o alla Spagna di Gonzalez capisco… E comunque la sua tomba continua ad essere sempre meta di pellegrinaggio». È una giornata grigia e uggiosa, dall’Italia sono in arrivo militanti socialisti, amici, simpatizzanti che ogni anno giungono qui per la ricorrenza della morte di Craxi, di cui il ventennale ormai si avvicina. Come avrebbe passato la giornata di oggi Bettino? Anna racconta lo schema dei giorni dell’esilio: «Lavorava sul tavolo nel patio o quando faceva freddo nella stanza dei fax. Dipingeva vasi ( celebri quelli con la “lacrime” dei colori della nostra bandiera che simboleggiano l’Italia che piange), faceva litografie, serigrafie, scriveva discorsi ( regolarmente cestinati nelle redazioni dei giornali italiani ndr), non stava mai fermo. Bettino lavorava sempre. Scriveva fino alle 2 o alle 3 di notte. Nel pomeriggio si recava nel centro di Hammamet al Caffè Moro alla Medina…». Dove tutti andavano a omaggiare, anche per chiedergli consigli di vita, Monsieur Le President. Dice Anna: «Lui era un uomo del popolo». Non c’è tassista, barista, ambulante, commerciante della Medina che non abbia conosciuto «Monsieur Craxì», con l’accento francese sulla i. La sua presenza qui era motivo di orgoglio per poveri e ricchi, per gente semplice e intellettuali e registi che in Tunisia hanno le ville. Ma Bettino era amato soprattutto dai poveri, come la famiglia di pescatori a Salloum dove lui si era fatto costruire un capanno, il suo secondo “ufficio”, nell’esilio di Hammamet. «Il 19 gennaio al cimitero siamo sempre di più», dice Anna Craxi. E Stefania: «Pensa che in questi giorni in Italia si stanno facendo anche tante messe di commemorazione organizzate dai militanti laici socialisti». Anna, l’altro ieri si è commossa quando la figlia Stefania le ha fatto leggere il messaggio in cui Silvio Berlusconi, di cui la vedova Craxi con il marito fu testimone di nozze, ricorda che i valori di Bettino erano i suoi. «Purtroppo – dice Stefania, ex sottosegretario agli Esteri del governo Berlusconi e presidente della Fondazione Craxi – sui social continuano a venire attacchi soprattutto da sinistra, mentre mio padre viene trattato con rispetto dalla destra missina». Lei, la tenace, indomita figlia di Bettino, è la vera artefice del fatto che la memoria di Craxi è sempre viva e presente, rappresentando per l’Italia un conto da regolare. Non solo ha intercettato Alfano che veniva in Tunisia e lo ha invitato sulla tomba del padre, ma nei giorni scorsi ha anche parlato con il sindaco ( Pd) di Milano Beppe Sala, il quale si è detto non contrario a dedicare a Craxi una via nella sua città, quella via che finora gli è stata sempre negata. La speranza è che almeno per il ventennale della scomparsa dello statista socialista quella via ci sia a Milano e a Roma. Craxi, mentre passava i giorni dell’abbandono guardando il mare verso l’Italia, come hanno ricordato Berlusconi e Alfano, ha insegnato all’Italia, del resto, a guardare lontano. Ma iniziò di fatto a morire il giorno dell’assoluzione di Giulio Andreotti. Quando felicissimo naturalmente per lo statista Dc, suo alleato al governo, Bettino pensò: «Qui, l’unico delinquente per gli italiani sono rimasto io». L’Italia ha certamente un grande conto da regolare con lui.