In ordine sparso, e con una certa fatica nel trovare la via maestra: così le correnti dell’Anm si presenteranno questa mattina nella consueta sala al sesto piano della Cassazione per la riunione del Comitato direttivo centrale. All’ordine del giorno innanzitutto le «iniziative da adottare in conseguenza del mancato rispetto degli accordi da parte del governo» riguardo i «correttivi al dl 168», ossia il cosiddetto “decreto Cassazione”, assai poco gradito ai magistrati. Le questioni da sistemare sono innanzitutto due: da una parte il trattenimento in servizio limitato ai soli vertici delle alte magistrature ( Suprema corte in primis) e che il sindacato delle toghe chiede di estendere, magari con un generalizzato reinnalzamento a 72 anni dell’età pensionabile; e i tempi più lunghi ( 4 anni anziché 3) per “leggittimarsi” a fa- re domanda di trasferimento. Ma proprio la soluzione in vista per la seconda delle due “vertenze” rischia di rendere ancora più complicati gli equilibri. È di ieri infatti la notizia, riportata da Dubbio, di un emendamento al ddl di conversione del milleproroghe con cui il ministro della Giustizia Andrea Orlando riporterà a 3 anni il tempo minimo di permanenza nella sede assegnata per i magistrati di prima nomina già in servizio. Più precisamente, il testo della norma transitoria preparata da via Arenula ripristina il “vecchio” termine di 3 anni per tutte le giovani toghe che al momento dell’entrata in vigore della legge avranno già avuta assegnata la sede. Si apre un pur piccolissimo spiraglio dunque persino per i vincitori dell’ultimo concorso, la cui graduatoria è stata approvata a inizio dicembre e che il guardasigilli ha chiesto alla collega Marianna Madia di immettere in servizio il prima possibile. L’intervento sana in ogni caso le posizioni che il “decreto Cassazione” aveva modificato in modo più discutibile, considerato che i giudici interessati avevano scelto la loro destinazione certi di doverci restare “solo” 3 anni. Il passo avanti però potrebbe agire non necessariamente in chiave “distensiva”, nel parlamentino Anm di oggi. Intanto perché a questo punto le altre correnti avranno gioco ancora più facile nell’isolare la posizione di Autonomia & Indipendenza, il gruppo del presidente Piercamillo Davigo, unico a proporre lo sciopero. Ma anche perché sarà più complicato per l’intero direttivo stabilire forme pur meno traumatiche di protesta, come la diserzione della cerimonia inaugurale dell’anno giudiziario.

Il match si ridurrà probabilmente a un ballottaggio tra due linee: quella di Area, che spinge proprio per l’iniziativa da prevedere per le inaugurazioni; e quella più moderata di Magistratura Indipendente, la “destra” giudiziaria classica, che ha già annunciato di voler mettere ai voti una richiesta di incontro urgente con Orlando, da celebrarsi prima di ogni mossa successiva. Pare in vantaggio la seconda opzione, considerato che Unicost sembra più vicina alla posizione di “MI”. Non a caso Area ha diffuso ieri una nota in cui si dichiara che «chiedere un nuovo incontro ad un esecutivo che ha già disatteso gli impegni assunti sarebbe per la Anm un grave segno di debolezza». Le toghe “di sinistra” propongono perciò la «mancata partecipazione dell’Anm alle imminenti cerimonie» come forma di protesta che «consentirebbe, ancor più di uno sciopero, di evidenziare la lunga serie di promesse mancate». Area chiede anche il sostegno del Comin, il Comitato spontaneo dei magistrati di prima nomina. Che però a questo punto dovrebbe invitare i gruppi tradizionali a vigilare, piuttosto che alla rottura con il guardasigilli.