Al processo sulla trattativa Stato- mafia si è parlato delle minacce che nell’estate del 2013 furono proferite da Totò Riina. Rinchiuso al 41 bis nel carcere di Opera, il boss si lasciò sfuggire alcuni “apprezzamenti” nei confronti del pm Nino Di Matteo. Parole durissime, quasi una sentenza di morte. Commenti che furono percepiti dalle guardie penitenziarie e segnalati alla Procura di Palermo. A distanza di tre anni e mezzo, Di Matteo rappresenta l’accusa nel procedimento ospitato nell’aula bunker dell’Ucciardone. A deporre in qualità di teste il commissario Salvatore Bonferraro. Nell’occasione però, il magistrato palermitano è andato “fuori tema”. Mettendo momentaneamente da parte le questioni al centro del processo, ha posto delle domande relative ai messaggi in cui Riina insisteva sulla necessità di ucciderlo. Durante le ore destinate alla “socialità” e al “passeggio”, il capo di Cosa nostra entrava in contatto con Alberto Lorusso, anche lui detenuto al 41 bis. Bonferraro ha ricostruito le mosse della Dia di Palermo, che sostituì le videocamere di sorveglianza, abilitate solo alle riprese video, con altre molto più performanti, e imbottì di cimici il cortile del penitenziario, riuscendo anche ad inserirne una minuscola proprio nei pressi della panchina sulla quale il boss si sedeva solitamente. Il funzionario ha risposto di avere seguito l’indagine «dall’inizio alla fine, curando l’attività di ascolto, le trascrizioni e il raccordo con la Procura. Direi che era come se avessero un microfono proprio vicino alla bocca. Spesso Riina bisbigliava ma grazie a questi strumenti riuscivamo a percepire praticamente tutto, oltre a ve- dere anche i gesti». Sono le intercettazioni in cui parlava a ruota libera, prendendo di mira lo stesso pm, cui voleva far fare la fine del “tonno”, come diceva in una celebre frase captata. Di Matteo ha voluto approfondire una questione di sicurezza personale, nonostante il relativo procedimento penale sia in corso presso l’ufficio giudiziario di Caltanissetta, dove se ne occupano altri magistrati. Ma il presidente del collegio e gli avvocati difensori non hanno sollevato obiezioni di competenza o opportunità, probabilmente in virtù delle gravi minacce di cui fu destinatario. Una testimonianza sicuramente singolare e inusuale, che non ha precedenti, anche perchè a porre le domande su quanto lo riguardava è stato lo stesso Di Matteo, operando all’interno della propria giurisdizione. Dalla deposizione di Bonferraro è emerso peraltro che Riina immaginava di poter essere intercettato nell’area destinata alla socialità, «tanto che in questa stanza - ha rivelato il commissario - giocava a carte con Lorusso e i commenti erano destinati solo al gioco». Successivamente Lorusso informò Riina di avere ascoltato in tv le dichiarazioni sul pm: «Ieri è uscita la notizia vostra, e facemola sta cosa e non ne parliamo più. Perchè sto Di Matteo non se ne va...», frasi che sono state rilette dallo stesso pm. Il boss a questo punto preferì non esporsi oltre: «Basta, chiudiamola qua - ha ricostruito Bonferraro - facendo il segno con le mani e indicando le telecamere, facendo intendere di aver capito di essere controllato». Lorusso informò Riina anche della solidarietà manifestata dai colleghi a Di Matteo: «Nessun tg ne aveva dato notizia, ma i due erano a conoscenza del documento firmato dai magistrati».