Mentre l’ondata xenofoba anti immigrati si alza sempre più alta, in Europa si assiste al diffondersi del fenomeno contrario, quello di chi a rischio della propria fedina penale aiuta i migranti “irregolari” a passare le ormai blindate frontiere del vecchio continente. Si tratta di semplici cittadini, contadini, professori, studenti, che cercano di intervenire lì dove le autorità latitano. Una direttiva europea del 2002, la Facilitation Directive, afferma il principio per cui chi aiuta «un migrante irregolare a entrare in Europa o durante il suo viaggio all’interno dei confini dell’Unione sta violando la legge» mettendo sullo stesso piano scafisti e operatori umanitari, per questo le autorità possono procedere con arresti e denunce. Un caso è quello di Cedric Herrou, un coltivatore di ulivi francese della Val Roia, al confine tra Italia e Francia. Herrou è accusato di aver aiutato a passare il confine duecento migranti senza documenti regolari, e di aver sfamato e offerto riparo a 57 di loro. La pena ipotizzata è pesante: 5 anni di prigione e circa 30mila euro di multa. Il processo è iniziato il 4 gennaio a Nizza e si attende la metà di febbraio per la sentenza. Il gesto di Herrou ha ottenuto la solidarietà di molte persone in Francia, dove si è aperto il dibattito sui cosiddetti “reati di solidarietà”. La ricercatrice Jennifer Allsopp, del Refugee Studies Centre dell’università di Oxford, ha messo in evidenza come sia in atto una tendenza che criminalizza operatori e cittadini che si organizzano, e lo dimostra la nascita di alcune associazioni come Roya citoyenne o Habitat et citoyenneté. L’unica soluzione, fino ad oggi, è quella di tenere costantemente allertata l’opinione pubblica e una conseguente protezione legale dato che, come lo stesso Herrou ha affermato, «se dobbiamo infrangere la legge per difendere le persone lo faremo».

Una dichiarazione di principio, sostanziata da gesti concreti come quello di Pierre- Alain Mannoni, un insegnante processato ma in seguito assolto dal tribunale di appello sempre a Nizza. Anche per Mannoni l’accusa era quella di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dopo che, nel novembre 2016, era stato fermato a Mentone con tre donne eritree nella sua vettura: subito è scattato un procedimento penale che lo ha condannato a sei mesi di carcere, ma il 6 gennaio i giudici hanno stabilito che aiutare a scopo umanitario non può essere soggetto ad una sanzione penale. Una decisione importante che riconosce in qualche modo l’azione di chi aiuta i migranti e, come ha commentato Mannoni dopo il suo rilascio: «una vittoria per tutte quelle persone che hanno bisogno di aiuto».

Non per tutti, però, c’è un esito positivo: lo ha sperimentato la professoressa in pensione Claire Marsol, condannata a dicembre dello scorso anno a pagare una multa di 1500 euro dalla Corte di Appello di Aix- en- Provence, per aver dato un passaggio alla frontiera a due ragazzi immigrati. Le segnalazioni di casi simili si stanno moltiplicando e il quotidiano inglese The Guardian ha raccontato la storia dell’attivista danese Lisbeth Zornig, sanzionata con l’ammenda di circa 3mila euro per aver assistito una famiglia siriana, e nel solo paese scandinavo sono 279 le persone accusate di violazione della legge sul “traffico di esseri umani”. Ancora peggiore è la situazione dei volontari spagnoli e danesi delle organizzazioni “Team Humanity” e “Proem Aid groups” che, nel gennaio dello scorso anno, sono stati arrestati dalla polizia greca mentre prestavano aiuto ai migranti che sbarcavano sull’isola di Lesbo e ora rischiano fino a dieci anni di carcere.

Intanto cresce la richiesta di introdurre negli ordinamenti dei singoli stati europei una clausola umanitaria, che impedisca a chi assiste i migranti di finire sotto processo, nella speranza che i gesti di solidarietà attiva di tanti privati cittadini inizino a mettere in crisi l’attuale atteggiamento di chiusura in molti Pesi dell’Unione.