IL CASO

Egregio Direttore, Nel suo editoriale di ieri lei prende spunto da mie dichiarazioni e mi attribuisce una tesi che non ho mai sostenuto. Ossia che “una parte della magistratura inquirente usa gli avvisi di garanzia come armi di lotta politica”. Le mie parole intendevano invece richiamare la politica alle sue responsabilità. I “test di affidabilità” degli uomini pubblici, da anni, paiono una esclusiva del processo penale. Non sono i Pm, è la politica a usare gli avvisi di garanzia

Egregio Direttore, mi permetta di tornare sul suo editoriale di ieri dal titolo “Se inizia ad incrinarsi il fronte giustizialista”. Lei prende spunto da mie dichiarazioni rilasciate al Giornale di Sicilia il 4 gennaio scorso sul tema del codice etico adottato dal Movimento 5 stelle. E mi attribuisce una tesi che non ho mai sostenuto. Ossia che “una parte della magistratura inquirente – fiancheggiata da un settore del giornalismo– usa gli avvisi di garanzia come armi di lotta politica”. Dai virgolettati dell’intervista citata non credo si possa dedurre nulla di lontanamente simile. Comunque ci tenevo a dire, con estrema chiarezza: è una tesi in cui non mi riconosco affatto. E peraltro chi la sostiene, soprattutto se ricopre un ruolo istituzionale, dovrebbe accompagnarla con l’indicazione dei casi specifici in cui si è strumentalizzata la funzione giudiziaria.

Chiarito l’equivoco. Le mie paro- le intendevano porre una questione di sistema. E richiamare la politica alle sue responsabilità. Viviamo una anomalia tutta italiana. I “test di affidabilità” degli uomini pubblici, da anni, paiono una esclusiva del processo penale. Sulla selezione dei politici “degni”, i partiti sembrano avere abdicato da tempo. Talvolta, personaggi già “chiacchierati” solo dopo anni finiscono “fuori gioco” perché arriva una condanna o un arresto. E, paradossalmente, in altre circostanze basta l’avviso di garanzia, o lo stralcio di una intercettazione, per invocare le dimissioni di avversari esterni o interni al partito. A volte si è giunti persino ad affidare alle procure la verifica sulla regolarità delle consultazioni “primarie”. Quasi a riprova di una “delega piena” alla magistratura in tema di etica pubblica. Ecco, questo è un crinale pericoloso per le nostre istituzioni.

Procure e tribunali sono molto esposti, dunque. E si sa, quando persino una iscrizione nel registro degli indagati provoca “effetti automatici” nella sfera politica, dalla “delega” alla accusa di invasione di campo il passo è breve. Così le opzioni sui tempi e i modi della gestione delle indagini rischiano di essere condizionate, danneggiando la ricerca della verità. Certo, dati i riflessi politici dell’atto giudiziario, è auspicabile un supplemento di attenzione sulla segretezza degli atti da parte della stessa magistratura. Con sanzioni per chi non rispetta le regole. Ma, in una democrazia, occorre distinguere tra responsabilità politica e responsabilità penale. Ai partiti, dunque, spetta il compito di valutare, caso per caso, il peso di un atto giudiziario, senza attendere sempre la pronuncia di un giudice. Ben vengano allora i codici etici dei partiti. Nella consapevolezza che pure condotte penalmente irrilevanti possono appannare la credibilità pubblica. Penso ai favoritismi per amici o parenti, alla subordinazione a ricatti, alle reticenze su fatti di interesse pubblico. E su questo versante anche la stampa deve fare la sua parte con un serio giornalismo d’inchiesta che non si limiti alla pubblicazione di stralci di intercettazione o alla notizia del politico indagato.

Infine, egregio direttore, mi consenta di dissentire sul punto chiave del suo editoriale. Ossia sulla presunta esistenza del partito dei PM che condiziona la politica, comportandosi con grande spregiudicatezza e mostrandosi compatto. Continuo a pensarla in modo diverso. La magistratura è un potere diffuso, senza “cabine di regia” o “vertici” più o meno occulti, come dimostra il “pluralismo” nell’interpretare le leggi e nei metodi investigativi. E anche la spregiudicatezza di cui parla, è smentita ad esempio dalle circolari delle più importanti procure italiane e del CSM sulla segretezza delle intercettazioni. Piuttosto la magistratura ogni giorno deve fare i conti con crimine organizzato e malaffare dilagante. Soprattutto negli enti locali, sono fenomeni che non risparmiano segmenti delle politica, come ricordano tanti analisti. Ciò porta la magistratura a sfide sempre più complesse. Non si tratta neppure di “missione salvifica” per il “controllo delle virtù pubbliche”. Ma, di solito, di domande di giustizia di cittadini e associazioni che, in assenza di misure preventive da parte dei governi locali, denunciano forme di illegalità nell’edilizia, nell’urbanistica, nella sanità, nella gestione dei rifiuti. Ne derivano procedimenti penali complessi. In cui ogni decisione può sortire effetti indiretti sul piano politico, economico, occupazionale. Tutto questo impone a noi magistrati un “salto di qualità”. Non solo sul piano della specializzazione e della cultura. Ma anche su quello dell’apertura al dubbio sui propri convincimenti e della disponibilità a confrontarsi con le critiche ai modi in cui si amministra la giustizia. Una disponibilità doverosa a condizione che le critiche siano legittime e non strumentali.

* MEMBRO TOGATO DEL CSM, ESPONENTE DI MAGISTRATURA DEMOCRATICA