Nessun passo indietro sulle pensioni delle toghe. Il pensionamento d’ufficio rimane fissato al raggiungimento dei 70 anni d’età. Nonostante il governo ad ottobre, per bocca dell’allora premier Matteo Renzi, avesse fornito ampie rassicurazioni all’Anm sul fatto che la norma che abbassava da 75 a 70 anni l’età massima per il trattenimento in servizio sarebbe stata modificata, fissando il limite a 72 anni, il ministro della Giustizia Andrea Orlando è ora di diverso avviso e non è più intenzionato ad “assecondare” le toghe nelle loro richieste.

Ed infatti, al prossimo Consiglio dei ministri del 29 dicembre, l’ultimo per questo 2016, l’esecutivo porterà in discussione sola una piccola modifica all’attuale sistema pensionistico per i magistrati. Praticamente, mutuando quanto già accade per i docenti universitari, non si andrà più in pensione il giorno del compimento dei 70 anni, ma il 31 dicembre dell’anno in cui i 70 anni sono stati compiuti. Il meccanismo porta con sè una sperequazione evidente: chi è nato a gennaio potrà, in sostanza, rimanere in servizio un anno in più rispetto a chi è nato a dicembre.

Come si ricorderà, l’Anm si era fortemente battuta per un innalzamento ai 72 anni, anche per motivi legati all’emolumento pensionistico: difficilmente chi entra adesso in magistratura, età media oltre i trent’anni, riesce ad arrivare ad avere i 40 anni di contributi richiesti. Nella homepage del sito dell’associazione è ancora in bella evidenza una comunicato in cui, all’indomani dell’incontro della delegazione, capeggiata personalmente dal presidente Piercamillo Davigo, si esprimeva soddisfazione per l’impegno del governo «per adottare gli interventi richiesti». Il governo in questi anni aveva risposto alle richieste di modifiche dell’età pensionabile delle toghe con le proroghe. L’ultima, di questa estate, di un anno e solo per i vertici della Corte di Cassazione. Un provvedimento che aveva scatenato la dura reazione dei magistrati. Area, la corrente progressista della magistratura, aveva espresso «sconcerto» per quanto accaduto, parlando di «una proroga inutile e foriera di gravi ingiustizie».

Magistratura indipendente, la corrente che riunisce le toghe più conservatrici, descriveva il provvedimento come ad personas, con conseguente appannamento dell’immagine e dell’indipendenza della magistratura, «un provvedimento di fatto inutile e che non risolve il problema della scopertura degli organici». L’Anm stessa descriveva l’opera- to del governo come la «dimostrazione di una scarsa lungimiranza nella politica giudiziaria». Anche il Csm, infine, aveva al riguardo espresso forti dubbi di costituzionalità. Sia per il metodo scelto - un decreto legge - sia per il fatto che i magistrati sono tutti uguali fra loro, differenziandosi solo per funzioni e non per il tipo di incarico ricoperto.

Il togato di Autonomia& Indipendenza Aldo Morgigni, nelle scorse settimane, aveva chiesto al Consiglio di presidenza del Csm di aprire una pratica finalizzata a sollevare davanti alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proprio in merito a questa proroga.

Non è ancora chiaro se dietro la decisione del governo di rompere con l’Anm ci sia l’intenzione di fare un dispetto alle toghe. Certamente, dopo la vittoria del No al referendum costituzionale, alcuni equilibri faticosamente raggiunti fra governo e magistratura sono saltati.

In molti nel Pd di osservanza renziana hanno voluto scorgere un regolamento dei conti da parte delle toghe dietro le recenti offensive giudiziarie di Milano, nei confronti del sindaco Giuseppe Sala, e di Napoli, contro il ministro Luca Lotti e alcuni ver- tici dell’Arma dei CC legati al “giglio magico”.

La stessa conferma o meno, nelle prossime ore, di Cosimo Ferri, leader di Magistratura indipendente come sottosegretario al ministero della Giustizia, sarà la cartina di tornasole per misurare lo stato dei rapporti fra esecutivo e i giudici.