Piera Degli Esposti è la voce della diversità. Rifiutata dall’Accademia, intraprende un percorso personale, fatto di estasi nella vasca d’acqua bollente, cassetti spinti con il diaframma, classici recitati dalla finestra di casa. La sua storia familiare è un romanzo di formazione raccontato insieme a Dacia Maraini in Storia di Piera ( 1980) e diventato un film di Marco Ferreri. Grandi le sue interpretazioni con Antonio Calenda, Giancarlo Cobelli e Ida Bassignano, che firma la regia di Molly cara, uno spettacolo rivoluzionario. La popolarità arriva con le serie televisive. Al cinema ha recitato per Pasolini, Tornatore e altri grandi. Con L’ora di Religione di Bellocchio e il Divo di Sorrentino ha vinto il David di Donatello. In questi giorni dà voce alla protagonista delle Stagioni di Louise film di animazione di Jean- François Laguionie.

Le stagioni di Louise è nelle sale. Cosa le ha dato questa Robinson Crusoe al femminile che, perso l’ultimo treno dell’estate, resta isolata in un villaggio ed è costretta a reimparare la vita?

Louise mi ha dato la speranza di vivere l’avventura anche in tarda età, mi ha insegnato che si può cambiare tutto, si può rinascere. Lei è una donna che ha avuto una vita molto normale. Quando perde il treno, ridiventa bambina, una che ha la vita davanti: riscopre il piacere dell’acqua, della sabbia, del cielo, diventa una personalità dell’universo, un elemento della natura.

La critica ha accolto con entusiasmo il film e il suo doppiaggio. Com’è riuscita a conquistarli?

La mia voce, in parte dolce, in parte spaventata, ha fatto sentire il mio legame con Louise: mentre interpretavo il personaggio, non ero più, soltanto, un’attrice che presta la sua voce, ero una parte di me stessa. E poi Le stagioni di Louise è un film fatto con la carta, con la penna, non quel cinema da discoteca che va in giro adesso, con i mostriciattoli.

Qual era prima di Louise il suo rapporto con il doppiaggio?

Non c’era. Mi avevano chiamato per il film di Spielberg, Il colore viola. La direttrice era costretta a sollecitarmi ad andare a “sinc”, cioè a sincrono. Mi rapivano le immagini. Così non lo feci. Anni prima un altro direttore mi disse: «Non possiamo mica passare la mattinata qui perché lei guarda le figure». E ora invece c’è Louise.

È stata in tournée con Wikipiera, dove è in scena insieme a Pino Strabioli. Lo spettacolo parla della sua vita?

Sì, la mia vita raccontata allegramente, con Pino che ha la capacità di giocare con me. Il pubblico milanese ha applaudito come non si applaude più a teatro, con calore, la storia di quest’attrice che ha resistito al fatto di non piacere, all’inizio, di essere sempre bocciata.

Anche lei però ha detto “no”. Per esempio a Giorgio Strehler…

Per difendere il mio talento. I suoi attori, tutti bravissimi, hanno ubbidito. Io, invece, non avrei cambiato il mio metodo. Sarei dovuta essere la donna maledetta del Temporale di Strindberg. Lui, pur conoscendomi poco, mi aveva intuita quasi subito, e mi dimostrò che sarei stata l’attrice giusta da quante ne ha cambiate, dopo. Oggi non so se rifiuterei una proposta del genere. Però mi sono detta: «Piera, adesso è diverso, ma perché la lotta l’hai vinta».

Il 9 gennaio su Sky usciranno nuovi episodi dei Delitti del BarLume, dai romanzi di Malvaldi, protagonista Filippo Timi. Come è andata questa partecipazione?

Mi ha reso particolarmente felice, perché sempre avrei voluto recitare in un’ “atmosfera di delitto”. Tutti sanno che il mio sogno è interpretare la figura di una commissaria. Qui sono un personaggio diverso, che mi ha affascinato per la sua doppiezza. Per ora non posso dire di più.

Com’è stato lavorare con Filippo Timi?

Siamo differenti, ma è un ottimo compagno di lavoro. Una persona ci ha definito una “coppia diabolica”. Diabolica non saprei, ma certamente interessante.

Guardando indietro al suo percorso, prima faticoso e poi ricco di successi, chi vorrebbe ringraziare?

Indubbiamente devo molto ad Antonio Calenda, prima di tutto perché ha amato la mia diversità, fin dai tempi del Teatro dei Centouno a Roma, nella stagione delle cantine: cento erano i posti più uno in bagno. Poi, insieme a lui, allo Stabile dell’Aquila, dove mi portò, e ai suoi tre fondatori. Devo molto al regista Giancarlo Cobelli e alle persone con cui ho lavorato, ma non a tutte. Tra le mie amiche, certamente a Ida Bassignano, Dacia Maraini, Lina Wertmüller.

Altre due persone hanno riconosciuto il valore della sua diversità. Una è Eduardo De Filippo. Dopo aver visto Molly cara, disse: «Issa è o verbo nuovo. Issa non mi è parente e io non songo il suo impresario, ma Issa è o’ verbo nuovo». Mentre, ben prima, Giorgio De Chirico, in un episodio ormai famoso...

Recitavo il ruolo di un ragazzo in Dieci minuti a Buffalo di Gunther Grass diretto da Calenda al Centouno. Una sera De Chirico venne a vederci e volle conoscermi. Mi guardò e disse: «Bravo, sei stato proprio bravo». Io risposi: «Maestro, ma io sono una femmina». E Lui: «Bravo lo stesso!».

Cosa la fa soffrire? Cosa sorridere?

Non conquistare mi fa soffrire, perché ho un animo molto conquistatore. Ma più di tutto mi ha fatto soffrire l’andata via della salute: io volevo essere una persona che non conosceva la malattia, volevo avere un corpo atletico. Mi ha fatto soffrire la paura di essere dimenticata, anche se mia madre diceva: «Chi ti conosce non ti dimentica». A farmi sorridere è stato invece Achille Campanile. Con i suoi testi mi ha insegnato a ridere insieme al pubblico. Inoltre mi rende felice la fantasia amorosa, perché mi rinforza. Certo, essere stata una bella ragazza non agevola la strada della maturità. Io poi ho intrapreso una via solitaria. Gli amici li vedo, ma mi piace anche avere momenti di silenzio, per fantasticare: non si può fantasticare in tanti. Io non ho scelto di avere una famiglia, però diceva, stavolta, mio padre: «Tu troverai sempre chi ti aiuterà ad attraversare la strada».