Per lasciarsi alle spalle i vecchi manicomi giudiziari, va attuata definitivamente la Legge Marino. È l’auspicio emerso nel convegno sul trattamento del malato psichiatrico autore di reato e la legge n. 9 del 2012, ospitato nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani. Le testimonianze degli operatori hanno acceso i riflettori su ritardi e inadeguatezza delle normative che dovrebbero «riconoscere i diversi livelli di gravità della malattia e di pericolosità degli infermi», ha rimarcato Maria Mussini, vicepresidente del Gruppo Misto e membro della Commissione Giustizia al Senato. Va superata «la dicotomia tra Rems e carcere», assumendosi «la responsabilità della cura dell’ampia fascia di malati che si trova esclusa dalle nuove residenze. Per questo quando la legge arriverà in aula, insisterò sulla strada già aperta» dall’approvazione degli «emendamenti all’art. 12 del ddl Penale». A rischio è la «tutela del diritto alla dignitosa sopravvivenza dei dimenticati».

Significativo l’intervento di Marcello Bortolato, magistrato presso il tribunale di sorveglianza di Padova. I manicomi giudiziari «erano luoghi di segregazione, che andavano chiusi». Bisogna però trovare una soluzione alternativa, sponsorizzata anche dal commissario unico per il superamento degli Opg Franco Corleone. Non vi sono più posti disponibili nelle Rems, che già ospitano 603 pazienti, mentre 241 sono ancora in attesa del ricovero. Tra questi, 176 sono destinatari di misure di sicurezza provvisorie, appena 65 di provvedimenti definitivi: «internati, sottoposti a trattamenti e monitoraggi, la cui posizione è stata definita. La maggior parte attende invece una pronuncia e collocarli nelle residenze è stato un errore. Bisogna quindi creare delle strutture parallele, destinate alla loro accoglienza». Per il magistrato veneto, «restano altrimenti in libertà, perché non si sa dove metterli, soggetti che hanno appena commesso reati, pericolosi in quanto la malattia ha raggiunto una fase acuta».

Anche trattenerli in carcere rappresenta una violazione dei loro diritti e non a caso spesso i loro ricorsi alla Corte Europea dei diritti umani vengono accolti. Un tema ribadito da Riccardo Polidoro, responsabile carcere dell’Unione Camere Penali. «Quando venga accertata l’incompatibilità psichica, il detenuto non può essere trattenuto. Dal 2008 si parla del superamento dell’Opg, ma vi sono strutture, come quella di Montelupo fiorentino, che ad inizio 2015 programmavano attività annuali, nonostante dovessero chiudere a breve per legge. È stato fatto molto, ma ancora oggi vi sono locali fatiscenti».

Parla di «luci ed ombre» anche la presidente del Gruppo Misto del Senato Loredana De Petris. «Nelle regioni a cui è demandata l’attuazione della Legge Marino si sono registrate buone pratiche ma sono emerse anche gravi lacune. Non possiamo dimenticare ritardi e resistenze. Il passaggio tra Opg e Rems è arrivato in un momento delicato per la sanità negli enti territoriali e non è semplice neppure il ruolo della magistratura di sorveglianza».

Giuseppina Guglielmi, gip presso il Tribunale di Roma, ha evidenziato che «non è semplice coordinare le differenti normative» sulle misure di sicurezza provvisorie, «regolamentate ancora dal codice Rocco del 1930». A questo si aggiungono «gli articoli 312 e 313 del codice di procedura civile, quattro successive pronunce giurisprudenziali e la recente legge 81 del 2014».

Gianfranco Rivellini, psichiatra e criminologo clinico, ha rimarcato come gli studi dell’Istituto Superiore di Sanità dimostrino che la recidiva è legata spesso «ad un passato criminale del singolo soggetto o della famiglia in cui è cresciuto, ma soprattutto all’abuso di alcool, sostanze o farmaci, che trasformano un malato psichiatrico in criminale». Le Rems sono nate proprio con finalità terapeutiche. Aldo Minghelli, consigliere dell’ordine degli avvocati di Roma, ha ricordato che «vi sono tanti laureati in psicologia che non trovano sbocchi lavorativi. Potrebbero essere impiegati nelle carceri, dove non c’è supporto adeguato per i malati».