Il movimento Cinque Stelle fonda la sua nascita e il suo successo su due questioni: da una parte la crisi più che decennale della democrazia e la necessità di ridare valore alla rappresentanza politica; dall’altra il sentimento anti casta alimentato dalla necessità ( vera o presunta) di una nuova classe dirigente non corrotta, che abbia una fedina penale pulita.

La prima questione è stata risolta con il voto telematico che secondo molti non è bastato a costruire decisioni democratiche. I Cinque stelle non hanno una direzione o un segretario eletti, ma una serie di capi che si sono autoinvestiti e che decidono per tutti. Se la democrazia in poco tempo è diventata quindi un simulacro, un’imitazione approssimativa delle possibilità decisionali offerte dalla rete, la questione dell’onestà ha comunque fatto da collante tra eletti ed elettori. E’ stato il vero Dna di un movimento che si è contrapposto agli altri partiti rivendicando la superiorità morale: noi e loro, i cittadini e la casta, il movimento e la partitocrazia. E’ stata una narrazione che ha funzionato e che, davanti ai primi avvisi di garanzia, non ha per nulla scricchiolato. Gli elettori Cinque stelle hanno continuato a pensare che il movimento fosse la soluzione ad una crisi strutturale della società, conseguenza delle ruberie perpetrate dai politici. Il noi e loro ha un potere d’attrattiva che difficilmente può essere intaccato: costruisce comunità, senso di riscatto, valenza ideologica in un momento di crisi profonda delle ideologie. Ma i nuovi episodi che riguardano la giunta romana rischiano di far vacillare la narrazione grillina. La mettono in crisi nella sua struttura di fondo, in quella convinzione che tutti sono corrotti, tutti hanno rubato fuorché i Cinque Stelle.

E’ l’inizio della fine della superiorità morale del movimento? Difficile dirlo oggi, quando il sentimento e la passione dei cittadini sono ancora vivi. Ma questa volta non si può non vedere le crepe anche profonde nell’immaginario costruito in questi anni. L’arresto di Marra, con l’accusa di corruzione, non è paragonabile all’avviso di garanzia per abuso d’ufficio ricevuto dal sindaco di Parma, Pizzarotti. C’è qualcosa in più, connesso alla parola più orribile per un grillino: la corruzione. Il dubbio si insinuerà forse anche nel più convinto sostenitore dei Cinque stelle ma soprattutto farà da sfondo a una narrazione che non potrà più sfidare gli altri contando sulla propria purezza.

Per qualsiasi partito i fatti di oggi sarebbero una valanga, ma per i Cinque stelle sono qualcosa di più. La messa in discussione della loro stessa esistenza: è come se un partito comunista stesse in vita ammettendo che il comunismo non solo è morto ma ha fallito, come se un partito continuasse a chiamarsi democratico quando si vive in una dittatura. Certo, si può stare nelle contraddizioni. Quest’epoca politica ci ha abituati anche a questo. Ma da oggi sarà difficile per Grillo riproporre la stessa narrazione. L’onestà o è o non è, non ci sono vie di mezzo, aggiustamenti, passi indietro. Ci si può inventare di tutto, ma quella parola non ammette compromessi, mezzi termini.

Il Movimento cinque stelle potrà sicuramente inventare nuove parole d’ordine, ma sarà difficile sostituire la parola fondante, cambiarla con un concetto qualsiasi. Lo sarà non perché impossibile. Ma perché vorrà dire fare un passaggio ulteriore, un passaggio forse fatale: non essere più speciali, unici, e diventare come tutti gli altri. Non si potrà allora più vincere le elezioni senza chiarire il programma ( come è accaduto a Virginia Raggi) non si potrà contare solo sulle difficoltà delle altre forze, si dovrà contare sul proprio progetto politico.