Non si può dire, dopo il voto di fiducia al Senato, che il governo Gentiloni sia sul filo. Con 169 voti ha ottenuto la stessa maggioranza di Renzi, ma il nuovo premier non ha più la ciambella di salvataggio che c’era con i 18 voti, sempre pronti a sostenerlo, di Ala di Denis Verdini. Quindi, il governo gode di un margine in più di 8 voti rispetto alla maggioranza assoluta di 161. Esecutivo quindi proprio debole no, ma neppure forte e sicuro. Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato e big forzista, che ha subito attaccato a testa bassa definendolo una « fotocopia » di quello di Renzi l’esecutivo presieduto dal suo ex compagno di liceo ne descrive la natura con una smorfia: « Debole? Boh, un governo… » . Che appena nato ha già su di sé la spada di Damocle della sua durata appesa alle decisioni di Matteo Renzi, il segretario del Pd, una sorta di “ premier emerito”, con il quale comunque il premier, quello vero, Gentiloni avrebbe siglato un patto per andare a votare il prima possibile. Ma la durata dell’esecutivo a questo punto non sembra dipendere più solo da Renzi ma dal Pd in quanto tale, dove le anime del corpaccione centrale dominate da Dario Franceschini non vedrebbero bene le elezioni in primavera o a giugno, ma in autunno.

Ma da lì al 2018 il passo è breve. Gentiloni ha già detto l’altro ieri alla Camera che la sua durata dipende dalla fiducia che gli darà il Parlamento, quindi il suo non è un esecutivo in scadenza. E ora chissà se Denis Verdini, dopo la brutta incavolatura presasi con Gentiloni - e con Renzi che lo avrebbe mollato - quando il premier gli ha negato un ministero di peso nel governo, dopo non avergli dato la fiducia uscendo dall’aula, potrebbe tenersi le mani libere non per fare come crede: dall’opposizione netta al sostegno per impedire il voto anticipato, in questo caso facendo un torto a Renzi. Dipenderà da tante cose. Secondo i maligni anche da quello che i verdiniani otterranno nelle nomine negli enti previste in primavera. Gossip. Ma che d’ora in poi Verdini avrà le mani libere per affossare o semmai per prolungare la vita a Gentiloni e dare una schiaffo a Renzi. Ora comunque da Ala è opposizione che prima che in aula potrebbe creare incidenti e rallentamenti nelle commissioni, dove i verdiniani sono presenti, a cominciare da quella Affari costituzionali dove Riccardo Mazzoni, braccio destro da sempre di “ Denis” fin dai tempi della Toscana, è praticamente ago della bilancia. Verdini smentisce seccamente in aula tramite il fedelissimo Mazzoni che ci siano stati complotti con Renzi per rendere più fragile il governo e aiutare la mission renziana di andare al voto a breve. Dice Mazzoni sul no alla fiducia pur uscendo dall’aula: « Chi pensa che tali decisioni siano state concordare con qualche autorevole convitato di pietra fuori dal parlamento è completamente fuori strada » . Poi ri- corda che la richiesta di essere rappresentati nell’esecutivo con « pari dignità » , è stata bloccata « da una conventio ad excludendum » . Mazzoni a testa bassa contro l’esecutivo: « Questo governo avrebbe dovuto sottolineare una discontinuità rispetto al precedente, proprio alla luce delle circostanze in cui è nato. Ci troviamo invece ala fotocopia esatta di quello di prima, un governo di Renzi senza Renzi. Si sarebbe dovuta allargare la maggioranza e diminuire le poltrone » . Parole dalle quali si potrebbe desumere che Verdini è e rimane un filogovernativo al di là di Renzi. Il senatore Antonio Razzi, scherzando con Il Dubbio sulla celebre imitazione che gli fa Crozza dice muovendo il dito indice avanti e indietro: « Denis a sostegno di Renzi in camper, verso il congresso, no come direbbe Crozza, questo io non credo » . E però l’alone di mistero rimane su come sia andata davvero tra lui e l’ex premier anche se un parlamentare di Ala a Il Dubbio dice: « Gentiloni non ci ha voluti anche perché c’erano parlamentari Pd pronti a votare contro. Renzi? Ci ha abbandonato. Ce lo aspettavamo? Ma certo, si sa come è Renzi » . A proposito di quest’ultimo, ora non sembra così più tanto facile la sua strada verso quel congresso anticipato rispetto al quale aveva chiesto l’ok all’assemblea del Pd convocata per domenica prossima. Contro l’anticipo del congresso che andrebbe di pari passo con l’anticipo delle elezioni politiche, dice il bersaniano Miguel Gotor a Il Dubbio: « Contro non siamo più solo noi straccioni di Valmy ma anche tanti altri nel Pd » . Chi? Si stagliano dietro le parole di Gotor i bersaniani uniti ai franceschiniani, settori dei Giovani Turchi, queste ultime componenti costituiscono il corpaccione centrale del Pd.

I bersaniani hanno chiesto già a Renzi di dimettersi da segretario se vuole il congresso anticipato, perché così stabilisce lo Statuto. E proprio per questo ieri sera girava voce che l’ex premier avrebbe proprio deciso di fare domenica il colpo di scena dimettendosi per aprire la strada alla sua rivincita con nuove primarie. Ma nel Pd dicono: « le decisioni di Renzi cambiano ormai di minuto in minuto, ora lui deve capire che non è più premier e che lui è un perdente » . Già ma sempre un perdente con una grande forza capace di condizionare i giochi e la data delle elezioni che lui vuole il prima possibile. Ma su questo sembrano spaccarsi anche i gruppi parlamentari. Se Ettore Rosato capogruppo alla Camera sposa in toto la linea renziana: « Legge elettorale da fare sì, ma che non sia un pretesto per allungare la legislatura, sennò basta un ritocco all’Italicum » , il capogruppo al Senato Luigi Zanda in ottimi rapporti sia con il capo dello Stato che con Franceschini, dice: « Legge elettorale da fare con l’opposizione » . Questo dopo aver premesso, con tono notarile, che bisogna andare al voto. E quando nomina Renzi dai banchi non scatta l’applauso. Gentiloni ieri ha detto che fare la legge elettorale « è un’urgenza indipendentemente dalla durata delle legislatura » . E già qualcosa nel Pd si starebbe muovendo, il deputato Lauricella vicino al ministro per i Rapporti con il parlamento Anna Finocchiaro, ha presentato una proposta di legge che alla fine potrebbe portare a un sistema proporzionale ( Premio alla lista che ottiene il 40 per cento ma se non lo ottiene i voti si ripartiscono in senso proporzionale). Difficile pensare che ci siano partiti in grado di arrivare al 40 per cento. Mentre si dice che che nel Pd circolino sondaggi che lo vedono scendere addirittura tra il 28 e il 25 per cento. Sembra isolata la voce del ministro del Lavoro Poletti che con un diktat renziano avverte: « Al voto prima del referendum sul jobs act » . Intanto, Gentiloni assicura che lui si muoverà con la stessa « umiltà » di Carlo Azeglio Ciampi nel suo « governo di transizione » . Oggi come nel 1993, passaggio d’epoca. Ma allora quel governo durò un anno.