Ha imparato a prenderla con filosofia per davvero. Marcello Dell’Utri esce bene nella bella intervista pubblicata ieri dal Corriere della Sera: un uomo che non spreca energie a combattere contro il destino quando è più forte. Mostra leggerezza e atarassia quasi orientali anche sul nodo giuridico della sua condanna: la pronuncia, inosservata, della Corte europea dei Diritti dell’uomo. « Dopo la sentenza Contrada stabiliranno che la condanna è stata illegittima e sarò risarcito per ingiusta detenzione » , dice a proposito dei 7 anni di carcere che sconta ora a Rebibbia. Aggiunge: « I tempi sono lunghi, temo che il pronuncianento della Corte europea avverà a pena scontata » . Lo dice così, come se niente fosse, ma è un paradosso giuridico grande quanto una casa. Sembrano arrabbiarsi più di lui i suoi avvocati. Come Tullio Padovani, già ordinario di Diritto penale all’università Sant’Anna di Pisa, che non esita a parlare di « gioco delle tre tavolette » da parte del nostro ordinamento.

«Carta vince carta perde, proprio così: siamo andati in Cassazione e l’incidente di esecuzione non è passato perché, ci hanno detto, bisogna seguire un’altra strada, quella della revisione del processo » , ricorda il difensore. « Come se non avessimo già esperito un tentativo simile, in Corte d’Appello, dove pure abbiamo battuto inutilmente la testa » .

Il professor Padovani, tra i più apprezzati studiosi di Diritto penale del Paese, usa parole forti e inconsuete. Ma il paradosso c’è eccome. A spiegare il punto di innesco è un costituzionalista come Valerio Onida, il quale interpellato dal Dubbio ricorda come all’origine dello stesso pronunciamento su Contrada ci sia « il caso Scoppola, con cui è emersa l’incostituzionalità della mancata previsione delle sentenze della Corte europea tra i motivi che possono condurre a una revisione del processo » . Mancherebbe un elemento che consente appunto di riaprire un procedimento passato in giudicato sulla base di una pronuncia favorevole dei giudici di Strasburgo. Eppure Padovani spiega come « non sia necessario altro, in realtà, non c’è bisogno di una norma ulteriore: ce n’è già una che è quella in base alla quale abbiamo presentato appunto l’incidente di esecuzione davanti alla Suprema corte. Sarebbe bastato che non chiudessero gli occhi, che manifestassero un po’ di buona volontà. E invece ci siamo trovati di fronte a una sentenza farsesca » . Padovani definisce così dunque la decisione firmata lo scorso 11 ottobre dalla prima sezione penale. Dell’Utri ne parla con serena rassegnazione. Anzi se la prende con se stesso, dice che nel 1996, quando aveva capito che piega avessero preso i pm sul suo caso, non avrebbe dovuto farsi eleggere « per difendermi nei processi » . Perché così « oggi sarei libero, invece mi trovo qui dentro a 75 anni, vedo avvicinarsi il finale di partita e sinceramente mi dispiace passarlo qui anziché con la mia famiglia » . Amarezza al limite, non rabbia. Resta il fatto che i reati contestati all’ex senatore sono compresi in un arco temporale che arriva fino al 1992, mentre la giurisprudenza ha definito il reato di concorso esterno solo nel 1994. Dell’ultri è in galera dunque per un’accusa che, all’epoca del suo presunto concorso esterno, neppure poteva essere contestata.

Non a caso persino chi come Emanuele Macaluso mai ha pensato di iscriversi al partito degli innocentisti, non ha problemi ad ammettere che « così com’è la questione del concorso esterno risulta poco convincente, e non parlo solo dei reati commessi prima che la Cassazione definisse il reato: siamo sicuri sia ragionevole che una fattispecie del genere sia prevista dalle sentenze ma non dalle leggi? Io dico che il concorso esterno non può continuare a esistere solo sul piano dottrinario: o si decide di non punirlo più o, cosa evidentemente più sesata, si provvede a codificarlo per legge. Le norme penali sono quelle scritte dal Parlamento » , dice l’ex direttore dell’Unità, « non si può restare fermi alla giurisprudenza » .

Difficile che cambi qualcosa nel frattempo, più probabile che Marcello Dell’Utri esca di cella tra poco meno di 3 anni quando, al netto degli sconti, la sua pena sarà estinta. Ha comunque mantenuto il buonumore, Bianconi lo restituisce bene, così come dall’intervista al Corriere si apprezza un uomo che a 75 anni ha ancora la pazienza di prendersi un’altra laurea, stavolta in lettere. Pazienza ne ha avuta anche con Berlusconi, che pure Dell’Utri ricorda solo come vittima, e anzi dice di essere un « prigioniero di guerra » , della guerra contro Silvio. Che però esattamente dieci anni fa gli diede un dispiacere difficile da dimenticare: prese il suo elenco dei “ circoli” e lo affidò a Michela Brambilla, dopo che il cofondatore di Forza Italia ci aveva lavorato per anni ed era riuscito a mettere assieme una parvenza di palestra per la futura classe dirigente azzurra. Non disse nulla, dopodiché il predellino travolse ogni idea di rivincita dal basso e preparò la nuova vittoria del Popolo della libertà.

L’ironia, che è funzione indispensabile della pazienza, è la stessa della precedente uscita “ pubblica” di Dell’Utri, al congresso del Partito radicale di inizio settembre, quando concluse il breve discorso da detenuto– militante con l’esortazione ai “ compagni” pannelliani: « Guardate che a parte voi qui del carcere non parla nessuno, ma visto che ci siamo io sono pronto a battermi, diamoci da fare, guardate che se ci mettiamo vinciamo le elezioni » , col sorriso sulle labbra e un entusiasmo che né la cella né il « gioco delle tre tavolette » hanno scalfito.

ERRICO NOVI