«Va riconosciuto al ministro Orlando e al governo il confronto con l’avvocatura, un confronto vero, non finto. Manca però un disegno complessivo più ambizioso che passa proprio per la riforma vera della giustizia, il cui approdo ineludibile è la separazione delle carriere » . Se a parlare fosse un giudice si tratterebbe di una sentenza di archiviazione. Le parole sono invece di un avvocato, il presidente dell’Unione Camere penali Beniamino Migliucci. In genere dialogante con il guardasigilli ma, nella dichiarazione rilasciata ieri all’Adn- Kronos, decisamente più netto nel richiamarsi al garantismo. Segno dei tempi. Segno che con la vittoria del No e la fine del primo governo Renzi si chiude in modo definitivo anche una precisa stagione di riforme della giustizia. Non è più praticabile la via impervia dell’accordo tra un Pd ancora venato di giustizialismo e un centro schierato su tutt’altre posizioni - assai affini proprio a quelle dell’avvocatura. Non ci sarà mai più spazio per un’alchimia complicata e faticosissima come quella trovata da dem e alfaniani sulla prescrizione. Quel testo resta incagliato lì, sull’arenile di una legislatura mutilata, se non già ai titoli di coda.

Non c’è più spazio per un compromesso come quello perché ogni minuto che passa fa svanire il contesto che lo ha generato. Ci sarà mai più un’area di centro disposta a sacrifici enormi sui tempi di prescrizione, per esempio, pur di arrivare a un’intesa con il Pd di Lumia e Casson? Evidentemente no. Intrerpellato dal Dubbio, il ministro dell’Interno e leader dell’Ncd Angelino Alfano chiarisce due cose: « Al Pd abbiamo rappresentato un’urgenza: che il nuovo governo nasca con l’appoggio di un arco di forze il più ampio possibile » . Vuol dire se non altro identità di vedute con Renzi: esecutivo allargato a tutte le forze non populiste ( con Forza Italia dunque) o nessun esecutivo. Ma sulla possibilità che un governo di scopo esteso ai berlusconiani possa completare il lavoro sulla riforma penale rimasto a mezz’aria in Senato, Alfano risponde in modo inevitabile: « Si tratta di questioni lontanissime, molto di là da venire, sulle quali non ci si può pronunciare » . È evidente: quel tipo di maggioranza a cui Renzi e Alfano guardano per riscrivere l’italicum e andare alle urne ha un orizzonte troppo ristretto per contenere questioni complicate come le norme sul processo.

Il fattore politico decisivo è d’altronde nel campo del centrosinistra, all’interno dello stesso Pd. Che difficilmente potrà assomigliare in futuro a quello spaccatosi sul referendum: una delle due componenti diventerà egemone. E in entrambi i casi i compromessi in materia di giustizia penale non avrebbero più senso. Se prevalesse l’attuale sinistra dem, un accordo politico con il centro moderato diventerebbe improponibile. Se Renzi conservasse il controllo del partito, lui stesso non avrebbe più bisogno di fare concessioni al giustizialismo, che a quel punto troverebbe i suoi portabandiera fuori dal Pd. C’è solo una variabile, complicata e da non sottovalutare, ed è proprio l’attuale ministro della Giustizia. Sarà difficile trovare un altro guardasigilli capace di coniugare aperture sul carcere e dialogo con l’avvocatura con il rigore su ecoreati e caporalato. Paradossalmente un profilo che tenga insieme la sinistra delle garanzie con le istanze securitarie care ai moderati corrisponde ancora all’attuale inquilino di via Arenula. Ed è a Orlando che Renzi si è rivolto, ieri, quando alla fine del suo intervento in direzione ha ricordato: « Abbiamo fatto molto sul carcere » . Ma come avverte Alfano, prima di sapere a quali riforme della giustizia si va incontro, restano ancora molte miglia marine da attraversare.

ERRICO NOVI