Già: ma se poi vince il Sì, che succede? I sondaggi (per quel che valgono) erano e restano sfavorevoli; Renato Brunetta sogna il 60 a 40 per il No; Matteo Renzi spreme sè stesso girando per l'Italia come una trottola e agitando tutte le bandiere che possiede, ultima la decontribuzione totale per chi assume al Sud. Insomma l'atmosfera che grava su palazzo Chigi rimane cupa e fioriscono gli scenari su cosa accadrà nel campo dei presunti vincitori, tra downgrading parisiani targati Berlusconi e sbuffi anti-Vaticano griffati Beppe Grillo.Ma se poi non va così? Se poi «l'unico leader politico in circolazione» (definizione fresca fresca dell'ex Cav) ribalta le previsioni; stappa il Magnum per brindare alla salute del presidente dei deputati forzisti e viene osannato con tripudio sotto il Nazareno, che succede in concreto?Vediamo. Intanto non è indifferente con quale percentuale eventualmente Matteo prevale. Una cosa è il 50,1; altra il 53 e più ancora: sempre di vittoria si tratta ma i margini di manovra cambiano nettamente. Se le urne risultano particolarmente benigne, è più che probabile che il presidente del Consiglio senta salirgli su per la schiena il brivido dell'azzardo, la voglia del colpo del ko: elettorale, of course. La spinta a salire al Quirinale - magari non proprio subito: diciamo a febbraio, tanto porta bene no? - per chiedere di sciogliere le Camere potrebbe risultare irresistibile: in fondo la Costituzione è cambiata, la legge elettorale c'è e si chiama Italicum, per il Senato non ce n'è bisogno tanto non viene più eletto.La spinta però non basta. Ed è difficile che il capo dello Stato possa assecondare suggestioni così liquidative della legislatura. Magari in quel colloquio a quattr'occhi Matterella potrebbe far presente al giustamente euforico premier che vincere è ok ma stravincere può diventare pericoloso. Infatti il successo referendario e la richiesta di elezioni a breve per fare bingo quasi certamente compatterebbero le opposizioni decise a impedire cesarismi e rendite politiche e di seggi in Parlamento troppo ampie. E se gli elettorati, grillini e di centrodestra, si unificano per sbarrare la strada al Troppo Vincente, l'Italicum invece che un'autostrada si trasforma in un vicolo cieco. Che magari potrebbe perfino incoronare un Cinquestelle: film horror che in tanti, e non solo al Colle, preferiscono rimanga ben custodito in archivio, possibilmente sotto chiave.Dunque si va avanti fino al 2018. Però disinnescare la mina Italicum si deve. E considerato che l'intesa dovrebbe viaggiare sul discrimine tra sostenitori del sistema e forze che lo vogliono abbattere, è giocoforza immaginare una ripresa di contatti tra Renzi e Berlusconi. Del resto non è che c'è molta scelta: le uniche forze coalizzabili solo quelle due visto che i grillini insistono a stare sugli spalti a strillare "onestà, onestà".Però qui cominciano anche i problemi. Per esempio i centristi vari, che oggi sostengono il governo fino allo svenamento, in un nuovo equilibrio incardinato sull'asse Matteo-Silvio vedrebbero il loro ruolo politico praticamente azzerato. Come reagirebbero? Fare la crisi giammai: giocherebbero di interdizione oppure dovrebbero rassegnarsi ad postazione ancillare. E anche sul fronte di destra non è che la situazione sarebbe rosea. Sicuramente Salvini e Fdi mai e poi mai potrebbero digerire un abbraccio con il Matteo di palazzo Chigi, neppure solo formale e di necessità. Dunque il sodalizio Pd-Fi dovrebbe scardinare l'assetto del centrodestra: possibile?Naturalmente ci sarebbe anche il Pd da sistemare. E' abbastanza prevedibile che Renzi si rivolga agli oppositori interni dicendo: questa è la minestra eccetera eccetera. Improbabile tuttavia che Bersani e co. gli facciano il favore di impugnare la bandiera della scissione. Quindi il tormentone-contrasto interno proseguirebbe.Per infine arrivare al nocciolo del problema: in che direzione riformare la riforma elettorale? Renzi ha dato in posto alla minoranza uno schemino che dice tutto e nulla, addio al ballottaggio compreso. Una strada praticabile con il premier trionfante? Chissà. Comunque il nodo politico è sempre lo stesso: come impedire ai grillini di prevalere, inaridendo la possibilità di convergenze nelle urne con il centrodestra. Per centrare il bersaglio c'è addirittura chi parla della possibilità di consentire un ballottaggio a tre... Oppure la strada potrebbe essere un'altra. Spostare il premio di maggioranza dalla lista alla coalizione e poi fare come con i sindaci: una Lista del Presidente da affiancare a quella ufficiale del Pd, dove far confluire i pasdaran renziani. E magari anche qualche alleato "impresentabile" sotto il simbolo piddino.Alzando lo sguardo al di sopra delle beghe interne, il nodo più intricato è il rapporto con la Ue e la situazione economica. Nell'ultimo scampolo di campagna elettorale, Renzi sta giocando la carta dell'antieuropeismo spinto. Scontando in realtà una contraddizione non da poco: da un lato, infatti, viene detto che se vince il No i mercati azzannerebbero l'Italia e l'Europa stringerebbe ancora più i cordoni della borsa; dall'altro per fa vincere il Sì il presidente del Consiglio non esita ad attaccare Bruxelles usando perfino l'arma del veto (ma di fatto è "una riserva") sul bilancio. Il 15 dicembre il capo del governo italiano volerà a Bruxelles per partecipare alla riunione del Consiglio europeo dedicata a temi più che divisivi come migrazione, sicurezza, economia e politiche per i giovani. Ci andrebbe con l'aura del vincitore, d'accordo: ma anche senza più l'alibi del referendum-Armageddon. L'accoglienza potrebbe risultare piuttosto fredda e non per il (pessimo) clima belga: anche Francia e Germania hanno infatti grattacapi da campagna elettorale da risolvere.Al dunque. Se vince Renzi è ovviamente più forte. Ma i problemi sul tappeto non spariscono. Per risolverli, brandire l'ascia non è detto sia necessariamente la scelta giusta.