Romano Guardini, uno dei maggiori intellettuali europei del secolo scorso, nel ricordare all'università di Monaco, il sacrificio dei giovani resistenti al nazismo del gruppo della Rosa Bianca, ebbe a dire: "Si può ricordare un uomo soltanto dicendo come in verità egli è stato". Queste parole sono tornate alla mia mente leggendo i diversi articoli che sono apparsi sulla stampa per ricordare la figura di Tina Anselmi. Molti di circostanza, altri venati da un taglio retorico e, sotto sotto, nostalgico, pochi che abbiano aiutato a comprendere "come in verità "era stata Tina Anselmi e da dove scaturiva il suo impegno civile, prima che politico.La vita di una persona va sempre assunta come una lezione, come un qualche cosa che ci rivela la dimensione più profonda dell'umano e la sua capacità di fare il bene o il male.Si è ricordato che il primo impegno di Tina Anselmi è stata la resistenza. Una scelta germinata dalla ribellione, dal dolore e dalla sofferenza innanzi alle delle persone impiccate solamente perché colpevoli di anelare alla libertà. Chi lotta per la libertà di tutti e degli altri indossa sempre la veste dell'innocenza e la sua messa a morte da parte dei forti assume sempre il connotato di una grande ingiustizia e questa genera dolore, sofferenza e voglia di liberazione.Finita la resistenza e la lotta di liberazione e arrivata la Repubblica, si era sperato che, quasi automaticamente, arrivasse anche la giustizia, ma non fu così.Da qui l'impegno sindacale prima che politico per immergersi in un mondo attraversato e condizionato da forme pesanti di subordinazione e di sfruttamento come quelle che vivevano le lavoratrici tessili.Oggi si è dimenticato come era duro vivere in fabbrica soprattutto in quelle tessili, dove le donne più degli uomini erano sottoposte a una sorta di regime autoritario, a discriminati maschiliste, oltre che a condizioni di lavoro pesanti, gravose e molte volte insalubri. La miseria degli anni di guerra e di quelli immediatamente successivi, la dura realtà del lavoro operaio e in particolare delle lavoratrici tessili obbligava a mettere a confronto il nuovo abbozzato dalla resistenza con la realtà quotidiana del lavoro e cercare di costruire una nuova condizione che mai era stata sperimentata, magari anche attraverso un duro scontro ideologico e grandi tensioni sociali.È qui, in questo crogiolo, che, a parere mio, si forma la personalità politica di Tina Anselmi. Certamente vi contribuisce la fede cristiana liberata da tanti orpelli devozionali e conservativi, ma al fondo ci sta l'aver condiviso la sofferenza e il desiderio di giustizia delle lavoratrici tessili. Non si fa politica se dentro non si sente la sofferenza e la tensione alla liberazione di ciò che in forme diverse opprime e condiziona le persone, svuota di senso il lavoro e il vivere civile. Non sono le idee astratte degli ideologhi che creano cultura politica, ma l'aver frequentato i luoghi del penare, del soffrire e del desiderare una vita e un mondo a misura dell'umano.Oggi si pone molta enfasi sulle competenze tecniche dei politici, che sicuramente servono, ma queste non garantiscono rispetto alla giustizia. Non è solo con le necessarie analisi sofisticate dei decimali che si affrontata il tema della disoccupazione, della mancanza di lavoro, della povertà, dell'immigrazione, ma con la capacità di restare a contatto con il cuore e la mente con la realtà sociale delle persone. Papa Francesco, recentemente, rivolgendosi ai sacerdoti, ha sottolineato che devono: "essere pastori con l'odore delle pecore, pastori in mezzo al proprio gregge" e questa indicazione non vale solo per i sacerdoti ma per tutti coloro che vogliono fare politica. Bisognerebbe che chi sceglie la strada dell'impegno politico prima e in modo propedeutico faccia esperienza del sociale e della dimensione della cura, non mi persuadono coloro che arrivano troppo direttamente alla politica.Sono convinto, per quel poco che l'ho conosciuta, che questa sia stata la verità di Tina Anselmi che ha sentito profondamente l'odore delle pecore.