È giusto dimezzare lo stipendio dei parlamentari? E potrebbe questa misura risolvere i problemi del costo eccessivo della politica, e di conseguenza rendere inutile la riforma costituzionale voluta da Renzi?Naturalmente mi riferisco alla proposta di legge avanzata dal gruppo di Cinque Stelle alla Camera e patrocinata direttamente e con grandi squilli di tromba da Beppe Grillo e da Marco Travaglio (manca stavolta il terzo abitué del trio, che è Matteo Salvini, il quale però probabilmente, se aderisse, si troverebbe contro tutti i parlamentari della Lega).Naturalmente la questione non è del tutto infondata. Abbiamo pubblicato ieri su questo giornale le tabelle dalle quali risulta che i parlamentari italiani sono i più pagati d'Europa. E dunque non ci sarebbe niente di male se si limassero i loro stipendi. Che attualmente si aggirano attorno ai 5500 euro netti al mese più un bel pacchetto di integrazioni e di rimborsi. Gli stipendi dei francesi, dei tedeschi, dei britannici sono decisamente più bassi, anche se un paragone è sempre difficile, perché il sistema dei rimborsi e dei servizi a disposizione è molto diverso da Stato a Stato, e solitamente è più vantaggioso nei paesi dove gli stipendi sono più modesti.E' giusto, allora, chiedere il dimezzamento degli stipendi dei parlamentari (e cioè una riduzione da 5500 a circa 2750 euro)?A me sembra di no. Per due ragioni. La prima è che un parlamentare, chiamato a svolgere un incarico delicatissimo, e cioè l'esercizio del potere legislativo, deve poter vivere godendo di una certa sicurezza economica. Si tratta di stabilire qual è il livello di questa sicurezza. Può darsi che sia ?- come propone Grillo - 2750 euro al mese, più le spese e i benefit, visto che molti lavoratori italiani vivono discretamente anche con stipendi più modesti. Bisogna però tenere conto anche del fatto che fare il deputato, per cinque o dieci anni, può significare l'abbandono della professione o del mestiere precedente, e la difficoltà, successivamente, a reinserirsi. Ma soprattutto bisognerà tener conto di un altro elemento: il livello degli stipendi degli altri funzionari dello Stato di "prima fascia": per esempio medici, professori universitari, dirigenti della pubblica amministrazione, dirigenti della Rai e magistrati.Sono andato a spulciare i loro stipendi. Ve li riporto tenendo conto solo dello stipendio lordo, perché è un dato più sicuro. Un deputato riceve un lordo di circa 140 mila euro all'anno. Un professore universitario (ordinario) tra i 50 e 60 anni, guadagna 120 mila euro. Un primario ospedaliero a tempo pieno 100 mila euro (ma può integrare con il lavoro privato intra-moenia). Un caporedattore o un alto dirigente della Rai, circa 140/150 mila euro (un vicedirettopre o un direttore, di più). Un magistrato con una discreta anzianità guadagna qualcosa più di 150 mila euro lordi all'anno.Sono stipendi eccessivi? Possiamo decidere di abbassarli. Di abbassarli tutti, però, tranne forse quello del medico, che francamente è piuttosto contenuto, soprattutto in relazione alla funzione sociale del medico. Tutti: non solo quelli dei deputati. Siamo d'accordo? Non mi pare però che esista un movimento di massa che chiede di abbassare gli stipendi dei magistrati o dei professori universitari o dei capiredattori della Rai. Il movimento di massa, largamente alimentato dai giornali e dal alcuni partiti politici, è sempre e solo rivolto alla "punizione" dei parlamentari, in quanto politici, e dunque in quanto responsabili di tutti i mali del mondo (ed effettivamente i politici sono responsabili di molti mali: non di tutti i mali, però).In larga misura la campagna contro gli stipendi dei deputati è guidata da giornalisti che guadagnano molto di più dei deputati stessi, e che trovano indecenti le paghe dei deputati e assolutamente dignitose, invece, le loro paghe milionarie. E' questo livello altissimo d'ipocrisia che mi colpisce. La richiesta di ridurre le paghe dei deputati, a occhio e croce - almeno, nel sentimento popolare - è alimentato da una passione in qualche modo egualitaria, o comunque da una spinta alla equità sociale. La domanda popolare è: perché un deputato deve guadagnare più del doppio, o del triplo di quello che guadagno io? Non si capisce però il motivo per il quale questa spinta egualitaria si realizza solo nei confronti dei politici.Il motivo in realtà è semplicissimo. Si definisce con una parola di origine greca: "demagogia". La demagogia è un fenomeno politico che è sempre esistito, e che -in una certa misura - sempre esisterà ed è giusto che esista. Specie nei partiti popolari la demagogia fa parte di una tecnica di comunicazione, di consolidamento del consenso, di definizione del senso di appartenenza che non può essere cancellata. Il problema è se la demagogia è accompagnata da una linea politica, da una idea di società, o se è pura e semplice tecnica, spinta fino all'esasperazione, e dominata dal culto dell'ipocrisia. In quel caso la demagogia non è più un propellente per la lotta politica, ma diventa un surrogato della lotta politica, utile solo a impedire ogni cambiamento, e utile a mascherare un deficit di pensiero politico. La demagogia pura è la forma peggiore e più rozza dell'opportunismo politico.