Il libro di Nicola Porro (La diseguaglianza fa bene) e l'articolo di Corrado Ocone pubblicato sul Dubbio nei giorni scorsi (clicca qui per rileggerlo) sono da non perdere. Si potrebbe leggere in essi l'estremo tentativo di difendere ciò che ormai è divenuto indifendibile. Ieri la tesi era sostenuta unanimemente e con grandi mezzi dal coro del vincitore. La tesi può essere brutalmente così riassunta. La rivoluzione costituita dalla globalizzazione capitalistica sommata alla sconfitta storica del partito dell'eguaglianza ha fatto nascere un'era in cui la diseguaglianza si è fatta fattore di crescita e chiave di volta di un nuovo ciclo. La vittoria politica e culturale di questa tesi ha dato luogo a quel che è stato chiamato il pensiero unico. Questo fino a ieri ma oggi? Oggi se si osserva il campo della cultura e del formarsi delle opinioni si può vedere già la sua invincibile armata dispersa e si può vedere chi difende la tesi come un estremo resistente in un fortino assediato.Intendiamoci bene, quel che resta della tesi non è poco. Ancora oggi nella realtà, i processi che si dispiegano ne portano per intero il segno. Infatti sul piano dell'economia le politiche di austerità proseguono il loro seppur disastroso corso in tutta Europa. In essa continuano a crescere le disuguaglianze, alimentate dalle politiche economiche degli Stati e dalle politiche delle imprese. Il primato del mercato non è messo in discussione neppure dalle crisi. Le diseguaglianze vengono alimentate dalle politiche fiscali, dalla sistematica demolizione dello stato sociale, dalla cancellazione dei contratti e dalla desoggettivizzazione del lavoro. I governi dei singoli Paesi come complessivamente dell'Europa continuano a essere i sacerdoti e i gendarmi di queste politiche.Ma quel che il nuovo corso mette in campo è una "stagnazione secolare" e tutti i governi di qualunque colore essi siano in tutti i Paesi traballano senza più certezze di futuro. Le politiche, che hanno favorito la crescita delle diseguaglianze e hanno permesso ad esse di segnare la Storia, tengono il campo anche se senza la forza del loro passato prossimo. È nel campo delle idee però che esse hanno cominciato a subire un vero e proprio rovescio. Un nuovo pensiero critico ha assediato i fautori delle diseguaglianze che da più parti vengono ormai diffusamente considerate un elemento costituente la crisi di civiltà che viviamo. Papa Francesco con la Laudato sì ha inferto alla tesi un potente colpo di piccone. Nel mondo dell'accademia uno dopo l'altro premi Nobel per l'economia si sono impegnati in un esercizio etico sempre più radicale. Libri scritti contro la diseguaglianza sono diventati best seller mondiali e hanno avuto una diffusione solo qualche anno fa inimmaginabile. Per tutti basterà ricordare il successo del libro di Thomas Piketty. Ma perfino dentro le istituzioni del Capitale la certezza sulle magnifiche sorti e progressive di un mondo che si sviluppa sotto il segno della diseguaglianza ha preso un colpo. Anche il Fondo mondiale internazionale ha preso a dubitare di un futuro siffatto. Negli Stati Uniti d'America proprio dalla Nasa è uscito un impegnativo saggio nel quale, studiando le civiltà antiche, si riscontrava che la loro crisi e il loro crollo era intervenuto proprio quando le diseguaglianze si erano accresciute a dismisura senza che le classi dirigenti l'avvertissero come un pericolo.Il monito alla realtà contemporanea non poteva essere più tagliente. Allora è di questo che vorrei discutessimo. Non è tanto utile, con i sostenitori di quelle tesi, riproporre l'opposto del loro pensiero: la difesa della insostituibilità della lotta per l'eguaglianza al fine di determinare una società civile e una convivenza umana libera e garantita. Neppure mi pare il caso di riprendere in questo confronto principi etici che parlano a favore del primato dell'eguaglianza né riaffermare la tesi delle costituzioni democratiche secondo la quale non c'è democrazia senza eguaglianza. Tesi peraltro che la realtà del nostro tempo si è incaricata di confermare con l'eclisse della democrazia in Europa e la sua sostituzione con il sistema oligarchico in cui viviamo. Mi pare invece il caso di proporre una verifica della tesi in difesa della diseguaglianza alla luce di ciò che sta accadendo concretamente. La diseguaglianza sta producendo infatti da un lato lo strutturarsi della crisi economica e dall'altro una crescente instabilità politico istituzionale. Il Corriere della Sera del 6 ottobre ha iniziato così il suo autorevole editoriale: «Sembra un paradosso ma il referendum che dovrebbe mettere fine all'instabilità politica italiana sta creando un elevato grado di instabilità». Ma solo il referendum italiano? E la Brexit? E ogni altro referendum? In ogni elezione politica, in ogni Paese europeo, ciò che viene alla luce è la crescente instabilità dei sistemi politico istituzionali. I governi in carica si rivelano tutti e sempre morenti, anche quando sopravvivono. La disuguaglianza produce i segni della rivolta. La rivolta assume le forme più diverse ma tutte ci parlano di un nuovo conflitto: il conflitto del tempo della diseguaglianza, il conflitto tra il basso e l'alto della società, il conflitto del popolo contro le élites. L'albero è scosso dall'inaridirsi delle sue radici ed è difficile che così possa salvarsi.Dunque direi a Porro e Ocone non preoccupatevi di noi, lasciate perdere le tesi e i sostenitori del partito dell'eguaglianza. Occupatevi del partito da voi sostenuto e ancora vincente. Ma vincente per quanto ancora? E cosa cova la sua temporanea vittoria? Quel partito ha ancora il potere ma ha perso l'egemonia. Può darsi che l'eguaglianza ancora non vinca contro la diseguaglianza ma la diseguaglianza suicida già la società costruita su di essa.