Circa un anno e mezzo fa Matteo Renzi sbeffeggiò Maurizio Landini: sostenne che era talmente vecchio che cercava di far funzionare l'IPhone con il gettone. Landini è il capo degli operai metalmeccanici. Poi Renzi mandò a quel paese anche Susanna Camusso, che è il capo del più grande sindacato italiano, la Cgil, e rappresenta più o meno otto milioni di lavoratori. Perché? Renzi voleva fare una legge con nome inglese (Jobs act), la quale limitava i diritti dei lavoratori dipendenti. E quella legge - giusta o sbagliata che fosse - era ferocemente osteggiata dai sindacati. Ma Renzi ci spiegò che non si può fare politica riformista cercando il consenso di tutti. Se ne infischiò dei sindacati, si accontentò, in quell'occasione, del consenso degli imprenditori, e siccome gran parte del suo partito si opponeva, e il governo non aveva la maggioranza in Senato, pose la fiducia sulla sua legge.Vinse. E se ne vantò molto. Non fu turbato dal sospetto di mancare di "rispetto" verso i sindacati. Né ci pensò una, due, cinque, dieci volte, come ha detto di aver fatto sulla riforma del processo, dopo aver letto gli avvisi di ostilità emanati dall'Anm.Una alzata di sopracciglia di Davigo è bastata a fermarlo. Davigo è il capo di un sindacato autonomo,  (l'associazione nazionale magistrati) con qualche migliaio di iscritti.Il paragone tra la spavalderia antisindacale e il timor panico verso l'opposizione dei magistrati è impietoso. Però è proprio questo paragone che fotografa lo stato della politica italiana nell'anno 2016. Una volta la politica era il terreno sul quale si affrontavano le forze sociali, le grandi idee, e gli interessi delle classi o dei grandi gruppi. I sindacati contavano moltissimo. Oggi una piccola associazione di giudici conta molto di più dell'intera Cgil. Una volta uno sciopero dei soli metalmeccanici era in grado di far cadere un governo. Oggi uno sciopero conta zero. I lavoratori non hanno più nessuna rappresentanza politica in Parlamento, né tantomeno ai tavoli del potere. E invece un gruppo di magistrati, riuniti in un sindacato che sempre più assume i connotati d'un partito politico, è in grado di fare o disfare le leggi e di tenere in pugno il governo. Mandando all'aria tutto il disegno della Costituzione e trasformando lo stato di diritto in un fantasma.Renzi, bisogna ammetterlo, ha un pregio molto grande: parla senza giri di parole e senza diplomazie. Spesso le sue parole squarciano il velo della polita politicante. Non sappiamo se volontariamente o involontariamente. Ieri il presidente del Consiglio ha fatto proprio questo: messo fine alla finzione della separazione dei poteri e ammesso che esiste un'ipoteca del potere giudiziario sulle leggi, e quindi una vera e propria autolimitazione del potere legislativo e anche del potere esecutivo, cioè del governo.Lo Stato liberale, fondato sulla divisione dei poteri, è ormai decisamente ridimensionato. Da che cosa? I politologi direbbero: dall'emergenza. L'emergenza, a guardar bene, consiste in una cosa sola: nella perdita di autorevolezza da parte della politica. E la politica - che ormai procede e si organizza senza più strutture, perché i partiti politici, che in Costituzione sono previsti come struttura portante della democrazia, si sono liquefatti - reagisce alla sua perdita di autorevolezza cercando protezione negli altri poteri. In parte nei poteri economici, in parte ancora maggiore nel potere della magistratura.I giornali e l'intellettualità non sembrano affatto preoccupati di questo processo di vera e propria trasformazione dell'ordine costituzionale. Si azzannano magari sulla riforma-Boschi, che abolisce il Senato, e che è una cosina minuscola se messa a fronte della riforma della costituzione materiale realizzata con lo stravolgimento del rapporto tra i poteri dello Stato. Sulla riforma- Boschi ciascuno è in grado di esprimere il massimo della retorica possibile, e di mostrare passione, rigore, schiena dritta... Ma del fatto che, oggettivamente, oggi, potere legislativo ed esecutivo sono sottoposti al potere giudiziario, non importa niente a nessuno. Non si vedono cortei per le strade, né si sentono grida dell'Anpi, l'opposizione parlamentare è piuttosto silenziosa, l'intellettualità o è rintanata in casa o si schiera compatta con Davigo e i suoi. Probabilmente c'è una opposizione dentro la magistratura, ma non ha la forza di esprimersi, di scendere in campo, anche perché è impaurita dall'alleanza di ferro tra l'Anm e il mondo dell'informazione. Non trova spazio.Di fronte a questa situazione c'è spazio per essere ottimisti? Antonio Gramsci diceva che per fare politica occorre unire al pessimismo della ragione l'ottimismo della volontà. Come si può dare linfa all'ottimismo della volontà? Bisogna che il dissenso si manifesti. Quello dei magistrati, quello dell'avvocatura, quello del mondo del diritto. E che le "piccole" forze garantiste che ancora si "annidano" nei partiti, di sinistra e di destra, vengano allo scoperto.Ieri, in una bella intervista rilasciata al "Corriere della Sera", Carlo De Benedetti parlava di rischio regime, di possibile fine della democrazia, riferendosi da un lato ai problemi della crisi economica internazionale e dall'altro alla debolezza della politica, non solo in Italia. Non credo che avesse torto.