Bisogna alzar la voce (clamandum est) contro quei giudici severi e crudeli che, per acquistare una gloria vana, e per salire, con questo mezzo, a più alti posti, impongono ai miseri rei nuove specie di tormenti».Queste parole sono state scritte da un giurista del ‘500, di nome Antonio Gomez, citato da Alessandro Manzoni nel secondo capitolo di Storia della Colonna infame, che pubblichiamo sul quotidiano, e che racconta, come sapete, un episodio di clamorosa ingiustizia nella Milano del ‘600.La frase di Gomez non può non colpire. Sembra una fotografia di tante situazioni attualissime. L’idea che mezzo millennio fa - in Spagna, in piena epoca di Inquisizione - già i giuristi si interrogassero sull’eccesso di potere e di spettacolarità di alcuni magistrati, è sorprendente.E ci dice che la questione dell’intreccio, talvolta perverso, tra giustizia e potere, è una questione connaturata con il potere, e che può essere sciolta solo mettendo in discussione e disarticolando il potere, e contrapponendogli il diritto.Questo secondo capitolo della “Colonna Infame” è interamente dedicato alla tortura. Ed esamina in modo molto approfondito tutti gli aspetti del problema. In particolare - mi è sembrato - tre aspetti.1) L’uso di una pena - perché la tortura è una pena - come strumento di indagine. E’ evidentemente questa commistione la negazione di ogni principio del diritto. E Manzoni spiega bene come il problema già se lo fossero posti i romani. La discussione allora non riguardava neppure il tema della “crudeltà” e della legittimità o no della “crudeltà” nella applicazione della legge, ma riguardava l’uso improprio di una pena come strumento di pressione verso un cittadino considerato ancora innocente. E fu esattamente per questa ragione che - tra la fine del 700 e i primo dell’800 - la tortura - “il supplizio” - fu cancellata dai codici e ai giudici fu sottratto uno strumento molto consistente del proprio potere.Naturalmente non è così automatico sostituire la parola tortura con la parola carcere preventivo. E’ chiaro che c’è una bella differenza tra tormentare con il fuoco una persona, o imporle la “ruota” che slogava e fratturava ossa e muscoli, con atroce dolore, e sbatterla in una cella e lasciarla lì, isolata, per sei mesi, o un anno, o due. Però dal punto di vista dei principi la differenza non è enorme. Così come la tortura la carcerazione preventiva è una pena e viene non di rado usata come strumento di indagine. Manzoni metteva in discussione il diritto dei giudici ad usare la pressione fisica per indurre alla confessione, o all’accusa verso complici reali o immaginari. E su questo piano le cose non sono cambiate. Non nel senso che oggi la legge consenta l’uso a scopo di tortura del carcere preventivo: non lo consente. Però la cosa avviene, è frequentissima, anzi è la norma. In modo del tutto illegale, molti Pm ordinano l’arresto delle persone, anche violando il codice di procedura, con lo scopo - talvolta persino dichiarato - di indurre gli imputati ad “arrendersi”. Questo potere non gli è riconosciuto dalla legge. E però nessuno glielo nega. Anzi, la politica glielo riconosce. talvolta sottovoce, talvolta in modo esplicito, quando per esempio autorizza l’arresto di deputati senza rispettare le norme del codice.2) La spettacolarità della giustizia che si realizza sempre attraverso la condanna di un colpevole. La giustizia non è mai spettacolare, né gradita al popolo, quando assolve. Lo è quando condanna. E questo rende la “giustizia spettacolare”, comunque, una giustizia “forcaiola”. Antonio Gomez se ne accorgeva a metà del 500, quando non c’era la Tv, non c’era facebook, non c’erano i giornali giustizialisti. Oggi invece, nella modernità, moltissimi pensano che la giustizia spettacolare non sia un abominio ma un portato della libertà di stampa.3) La critica del potere. Tutto lo scritto di Manzoni torna continuamente su questo punto. L’eccesso del potere, la discrezionalità, la possibilità per una persona di decidere il dolore, il terrore, la vita o la morte di un’altra persona, al di fuori da ogni controllo, di ogni verifica, e persino, molto spesso, di ogni ricerca della verità.Questo forse è il tema più moderno che Manzoni mette sul tavolo. Nessuna critica del potere è possibile se esclude la critica del potere giudiziario. Perché il potere giudiziario è il potere dei poteri. E invece il dibattito politico, da circa quarant’anni, in Italia, ci ha offerto una conoscenza del potere del tutto “deviata”, passata per il prisma di rifrazione del giustizialismo. Che ha sedotto e sottomesso l’intera intellettualità. Per cui l’immagine che si afferma è quella di una lotta aperta condotta da una magistratura libera, indipendente ed eroica, che si oppone al potere politico e alle sopraffazioni, in nome del popolo e dei suoi interessi. È una immagine rovesciata rispetto alla realtà. La magistratura è il potere, vive nel potere, esprime il potere, controlla il potere rifiutando di essere controllata. E’ l’unico potere incontrollato esistente, nella società contemporanea, cioè l’unico potere puro, essenziale, assoluto.In che nodo si concilia una magistratura espressione del potere incontrollato e una magistratura custode del diritto?Non sono conciliabili. Eppure dentro la magistratura italiana coesistono queste due aspirazioni. E continuamente si manifestano, talvolta nelle inchieste, talvolta nello spettacolo, talvolta nelle sentenze e nelle indagini serie.Possiamo affidarci alla speranza che la magistratura del diritto prevalga sulla magistratura del potere? O invece bisogna pensare a riforme che limitino il potere, aumentino i controlli, i contrappesi, ed esaltino i diritti del diritto?Sicuramente il professor Antonio Gomez opterebbe per questa seconda scelta. E anche Manzoni.