Lo scontro fra populismi e liberalismi (tutte e due le parole scritte al plurale) domina la politica europea e americana. La settimana prossima (il 23 giugno) si celebra il referendum che deciderà se la Gran Bretagna resterà in Europa o imboccherà la via isolazionista. È fortissima tra gli inglesi la spinta a rompere con l’Europa, e anche coi partiti tradizionali, e affidarsi al populismo che galoppa, guidato non solo dall’Ukip di Paul Farage. Il bestiale assassinio di Jo Cox, da parte di un filonazista, cambia le emozioni, ma probabilmente non cambierà il risultato della consultazione elettorale. Quattro giorni prima della prova del nove inglese, ci sarà lo show down italiano, con i ballottaggi. Esclusa la città di Milano, dove si confrontano due candidati delle forze tradizionali (centro-destra e centro-sinistra) in tutte le altre grandi città il confronto è tra un liberale e un populista. A Roma il liberale di centro-sinistra, e così a Torino e a Bologna, mentre a Napoli di centrodestra. I candidati populisti invece sono grillini a Torino e Roma, di centrodestra (Lega) a Bologna e di centrosinistra (De Magistris) a Napoli. I ballottaggi e il referendum sulla cosiddetta Brexit saranno un passaggio molto importante della battaglia tra populisti e liberal.Anche se non decisivi. Già sono stati molto importanti altri passaggi elettorali: quello in Austria, dove alla fine i populisti di estrema destra sono stati sconfitti da un candidato verde di sinistra, e quello, precedente, in Francia, con gran successo dei lepenisti al primo turno, ma sconfitta secca ai ballottaggi, a favore della destra tradizionale. La battaglia è ancora apertissima. E probabilmente si concluderà, in un modo o nell’altro, a novembre, nella madre di tutte le sfide elettorali: quella per la Casa Bianca. Il superpopulista Trump cercherà di battere Hillary, regina dei liberal, e della moderazione, e della politica tradizionale. Se vincerà, ed è possibile, sarà una vittoria epocale e mondiale per il populismo, probabilmente si aprirà un’ era, così come fu quando vinse Reagan e seppellì il vecchio rooseveltismo e il kennedismo. E aprì nel mondo intero l’epoca del neoliberismo assoluto. Se invece vincerà Clinton, probabilmente i populismi subiranno un colpo duro, dal quale - forse, ma non è detto - potrebbero non più riprendersi. Qui da noi in Europa la battaglia, per ora travolgente, dei populismi avviene su due grandi temi: la furia anti-immigrati e quella giustizialista. Sono due furie parallele e non sempre e del tutto coincidenti. In Italia il fronte contro gli immigrati è sostenuto principalmente dalla Lega e dai partiti di estrema destra, mentre il giustizialismo è soprattutto grillino (ma sfiora settori della sinistra e forze storiche, e potenti, come pezzi della magistratura, del giornalismo e dell’ establishment economico). Questa divisione tra i due populismi (alla quale, sull’ altro fronte, corrispondono amplissime divisioni fra settori assai diversi del liberalismo, di destra e di sinistra) finora ha impedito la loro vittoria. Oggi l’ impressione è che sia più vicina l’unificazione dei populisti che quella dei liberal. Grillismo e populismo di destra (sia leghista sia ex fascista) si stanno avvicinando e si guardano con interesse e simpatia. L’estrema destra e i leghisti non sembrano avere grandi difficoltà ad avvicinarsi anche moltissimo alle posizioni giustizialiste; e i grillini non sembrano voler fare barricate a difesa dei migranti. Del resto non le hanno mai fatte. E poi c’è il collante: l’antieuropeismo. Antieuropeismo e populismo anti-migranti tendono ormai a identificarsi. Jo Cox è morta su quella frontiera: la difesa degli immigrati in ottica europeista. Giovedì prossimo il referendum sulla Brexit sarà essenzialmente quello: la scelta tra apertura o chiusura alle migrazioni. Vedete, la scelta politica diventa sempre più stretta: da una parte l’Europa dall’ altra la xenofobia. E nella ristrettezza di questa scelta muore la politica, perché la politica ha bisogno di sfumature, e se oggi uno non può scegliere una posizione critica sull’ Europa senza trovarsi in braccio agli xenofobi, vuol dire che i margini della libertà politica si stanno mostruosamente restringendo. Ed è in questo infernale campo di battaglia che si è venuto a trovare Renzi, forse senza immaginarlo e senza vederlo. Lui sta combattendo la sua battaglia, è tutto preso dai ragionamenti su se stesso (e le opposizioni lo inseguono su questo terreno) ma intorno a lui tutto sta cambiando, e Renzi non si accorge che la battaglia ormai è un’altra e lui può vincerla o perderla per ragioni che non hanno niente a che vedere con quello che sta facendo il suo governo né tantomeno con la sua strategia politica. Noi tendiamo a vedere la battaglia politica come una contrapposizione tra renziani e antirenziani, riproponendo lo schema del berlusconismo e antiberlusconismo. Quasi non vediamo che siamo dentro tutta un’altra guerra, ed è in questa guerra che si vince o si perde. Qui in Italia diamo un grande peso al referendum sull’ abolizione del Senato (chiamiamolo così, perché in fondo di questo si tratta) ma l’importanza di quella battaglia, nel quadro europeo e mondiale (nel quale l’Italia suo malgrado si trova) non conta quasi niente. Lo scontro è sulla modernità. Non sulla Boschi. E da come si conclude questo scontro dipendono le caratteristiche di quello che sarà la modernità. Sarà possibile battersi, domani, per un’ Europa dei diritti, oppure il mercatismo reaganiano sfocerà nel nuovo populismo fondamentalista che prevede la costruzione di uno Stato etico e blindato che sostituisca lo Stato dei diritti?