«Ho incontrato centinaia di giovani musulmani sopraffatti dall’apatia e dalla depressione che passano la loro vita errando senza meta e ai quali l’integralismo violento fornisce un ideale eroico di salvezza, dandogli l’impressione di colmare il loro vuoto».Lo piscanalista tunisino Fethi Benslama studia da anni i meccanismi mentali che portano tanti adolescenti delle banlieues francesi ad abbracciare la “causa” del jihadismo ed è convinto che la povertà e l’esclusione sociale non bastino a spiegare un fenomeno molto più complesso che nasce da una condizione di smarrimento pisocologico e da un’identità in frantumi: «La radicalizzazione è in qualche modo il trattamento di un sintomo e lo slancio religioso si presenta dopo un periodo di apatia». E molto spesso responsabili degli attacchi terroristi contro i civili sono giovani usciti dalle classi medie il cui problema principale non è certo la lotta contro la miseria.Nel suo ultimo lavoro Un furieux désir de sacrifice. Le surmusulman  Benslama prova a tratteggiare la figura del “supermusulmano”, un ibrido della contemporaneità in cui la frustrazione esistenziale si incrocia con l’utopia antipolitica del jihad che è portatrice di una frustrazione storica e di un sentimento di rivalsa verso l’Occidente. Decisivo il ruolo adescatore di internet e dei socialnetwork, il fascino della violenza e dell’appartenenza combinati con le suggestioni apocalittiche sulla resurrezione del “Califfato” e sulla forza evocativa del martitrio. I fratelli Kouachi della strage a Charlie Hebdo, Ahmed Koulibaly e l’assalto al minimarket ebraico, i ragazzi del commando del Bataclan, sono tutti esempi di questo intreccio mortale tra rabbia individuale e fanatismo ideologico. A differenza dell’etologo e psichiatra Boris Cyrulnik per il quale i jihadisti sarebbero semplicemente dei soggetti «psicopatici», in pratica «gli idioti dell’islam», secondo Benasla i giovani che sposano la via delle armi soffrono senz’altro di turbe psicologiche e identitarie, ma non sono affatto dei pazzi e il recupero artificioso di un islam guerriero quanto immaginario definisce una nuova identità. Il supermusulmano «è lacerato dal senso di colpa e dal sacrificio e l’islamismo radicale è una risposta ultrareligiosa alla sua disperazione». Ma, sposandone le ragioni, compie un inversione fatale: «Tra i significati della parola musulmano c’è l’aggettivo “umile”, il supermusulmano è al contrario animato dall’arroganza e dall’orgoglio», sentimenti che lo avvicinano alla nietzcheana “volontà di potenza”. Pensandosi come l’unico vero interprete dei dettami divini, «sottomette Dio alla sua volontà, sentendosi autorizzato a commettere crimini mostruosi».