Ezio Mauro ha pubblicato, nella Repubblica di giovedì 26 maggio, una intervista al professor Gustavo Zagrebelsky, già presidente della Corte Costituzionale e oggi presidente del Comitato per il no al referendum costituzionale di ottobre.È ovvio che è difficile sintetizzare in poche battute una argomentazione complessa, che proviene da un uomo di grande cultura. Può essere utile riportare le frasi valutative della riforma: non penso a una “Spectre”, per intenderci. Vedo un progressivo svuotamento della democrazia a vantaggio di ristrette oligarchie. Per ora le forme della democrazia reggono, ma si svuotano. Si parla di post-democrazia e, se subentra l’autoritarismo, di “democratura”………. a me pare di vedere il sogno di ogni oligarchia: l’umiliazione della politica a favore di un misto di interessi che trovano i loro equilibri non nei Parlamenti, ma nelle tecnocrazie burocratiche.  Insomma, la riforma costituzionale non darebbe vita a una dittatura, ma comunque consentirebbe a una oligarchia avida di fare i propri interessi. Meglio, perciò, sembra di capire, un sistema nel quale il potere sia disarticolato e nel quale possa operare efficacemente un democratico potere di veto. Altro non è, del resto, un sistema, quale quello successivamente vagheggiato nell’intervista dal professore, nel quale si dovrebbe realizzare una sorta di plebiscito permanente, pervaso da un grande discorso democratico.Va subito registrato con favore che nella intervista non appare la parola dittatura. Che in questi anni è stata spesso usata a sproposito da più parti, insieme alla minaccia di andare via dall’Italia. Basta considerare, per rendersi conto di quanto ridicolo sia stato l’uso di quella parola, che negli ultimi venti anni vi è stata al governo una alternanza perfetta di forze contrapposte, quali sono state centrosinistra e centrodestra.Il pensiero di Zagrebelsky, tuttavia, pecca per omissione nel momento in cui non tiene conto di un altro aspetto. Il vento della globalizzazione ha investito, ormai, tutto il pianeta. La sola Corea del Nord, forse, resiste ancora. E la globalizzazione, come tutti sanno, si declina, innanzitutto, sul piano finanziario. Capitali enormi, svincolati da qualsiasi categoria limitante, come quella di stato, si muovono alla ricerca del maggior profitto. E così facendo portano, secondo le proprie convenienze, sfruttamento (dando lavoro a chi non lo ha ed è disposto a tutto per sopravvivere) o povertà (togliendo lavoro a chi osa alzare la testa).Dopo una iniziale totale incapacità di reazione, gli stati nazionali hanno cominciato a fare a gara per creare le condizioni migliori per favorire gli investimenti soprattutto esteri. E cioè, per usare parole più realistiche, non si sono limitati a cercare di essere più efficienti, ma hanno fatto a gara nello smantellare le strutture di sostegno dei diritti sociali, in modo da andare incontro alle richieste della finanza globale. Inutile dire che si è dato il via ad una discesa senza fine, capace di livellare tutti i popoli agli ultimi della terra, mettendo tutti in una competizione tragicamente al ribasso.Si tratta di un processo che è stato sinora inarrestabile, ma che ha avuto, a ben vedere, un alleato insospettabile. Le democrazie incapaci di decidere, nelle quali i poteri di interdizione sono molteplici e paralizzanti, dove la discussione si risolve in un’orgia fine a sé stessa, sono quelle che creano le condizioni migliori per lasciare le mani libere alla finanza globale. La quale, essa sì, è una oligarchia pronta, appena possibile, a umiliare la politica a favore dei propri interessi. Sono le strutture organizzative della democrazia, alle quali aspira Zagrebelsky, che, avvitate sul loro ombelico, lasciano le mani libere alla finanza globale. Per reagire sono possibili due vie: chiudersi nel proprio recinto, come fa la Corea del Nord, con tutte le conseguenze che ne discendono, o organizzare la propria democrazia attraverso strutture ed istituzioni che, mantenendo saldo il rapporto con i cittadini, siano in grado di avere quella efficacia e prontezza di decisioni necessarie per governare il mercato e per imporre una reale interlocuzione alla finanza globale. Si tratta, certamente, di una questione che riguarda anche le strutture sovranazionali, come l’Unione Europea, ma che non può essere ignorata da un grande paese industrializzato come l’Italia.