Tre anni di vita sottratta, tre anni di privazioni umane e affettive tra carcere e domiciliari vissute da innocente. Parliamo di Michele Caccamo, un poeta drammaturgo e scrittore. Conosciuto nel mondo arabo come il “poeta della fratellanza” per la sua attenzione e il suo impegno letterario nell’incontro tra popoli e religioni. È calabrese, vive in una regione martoriata sia dallo Stato che non è più in grado di dare risposte sociali alla povertà che dilaga, sia dalla ‘ndrangheta dove riempie quel vuoto e ne trae beneficio. Esiste solo la risposta giudiziaria, una risposta che però non di rado calpesta lo stato di diritto con alcuni pm che effettuano carcerazioni preventive affidandosi a chiunque faccia qualche nome. Ancor meglio se il nome risulta importante. È bastata un’accusa verso Michele - senza alcuna prova – da una parte di una persona che poi è risultata del tutto inaffidabile, per rinchiuderlo preventivamente in galera con un’accusa di associazione a delinquere aggravata dall’articolo 7, ovvero finalità mafiosa. Il 2 Marzo del 2015 Michele Caccamo viene definitivamente assolto per non aver commesso il fatto, assoluzione dovuta anche grazie al collaboratore di giustizia Antonino Russo il quale smentì categoricamente l’accusatore e definì Michele una persona per bene e vittima della stessa ‘ndrangheta che voleva impossessarsi dei suoi beni. Ma non solo. Caccamo ha avuto sotto controllo l’utenza telefonica, e dai controlli non è emerso nulla; è stato intercettato in carcere e sono state sospese le intercettazioni perché non era emerso nulla; ha avuto sequestrati i pc del suo ufficio e dalla perizia tecnica non emerse nulla di riconducibile ad attività criminali.Tre anni di carcerazione da innocente e l’accusatore di Caccamo non è mai stato indagato, neanche dopo le dichiarazioni del pentito: al momento lavora per conto di una ditta che ha acquisito uno dei contratti di lavoro di Caccamo.Il poeta e drammaturgo Michele è stato vittima sia della ‘ndrangheta e sia della cosiddetta malagiustizia. “Farò della mia innocenza una pubblica ragione”: questo dichiara Michele Caccamo, finalmente da uomo libero. Ha pubblicato un libro intitolato “Pertanto accuso” dove racconta la sua storia, entra negli abissi del carcere dove ha vissuto, lo descrive come fosse un luogo pieno di cappelle mortuarie e infatti le celle, tecnicamente, vengono chiamate “cubicoli”. D’altronde la parola “carcere” deriva dall’ebraico “carcar” che vuol dire, appunto, “tumulazione”. Riportiamo un estratto del suo romanzo dove spiega come la magistratura, una parte di essa, opera in Calabria nel nome della lotta alla mafia. Uno scritto che potrebbe essere il proseguo del famoso, ma tanto ridicolizzato e oltraggiato, articolo di Leonardo Sciascia dove spiegava il pericolo autoritario del cosiddetto “professionismo dell’antimafia”.