Roma ha bisogno di un’amministrazione post-ideologica, per questo Marchini è il candidato migliore. E poi basta parlare di persecuzione giudiziaria: è la classe amministrativa ad essere carente. Parla da padre nobile di una destra quasi pacificata, Francesco Storace, ferita solo dallo strappo di Giorgia Meloni ma pronta a giocarsi la partita amministrativa della Capitale. «Votare Virginia Raggi e i 5 Stelle significa portare Roma al disastro economico: la Raggi dice no alla metropolitana, no allo stadio, no alle Olimpiadi. Sarebbe il blocco di ogni attività e l’ennesima porta in faccia sbattuta agli investitori, che potrebbero non tornare».E allora come spiega l’endorsement di Salvini, nel caso di ballottaggio Raggi-Giachetti?«Innanzitutto Salvini stia attento alle cose che chiede perché potrebbe ottenerle. I suoi elettori potrebbero anche decidere di ascoltarlo fino in fondo e votare la Raggi direttamente al primo turno. Il problema di Salvini è che i suoi barbari del nord lo frenano. All’inizio ero convinto del suo interesse per la rinascita del sud, ma con questa dichiarazione ha dimostrato che Roma è lontana dagli occhi e dal cuore della Lega Nord».Eppure l’asse tra la Lega Nord e Giorgia Meloni sembra solido. Una candidata che, almeno sulla carta, poteva essere più vicina alla sensibilità della Destra, rispetto ad Alfio Marchini.«Non sono stato io a rifiutare l’alleanza con la Meloni. Per tre mesi ho chiesto l’unità della destra: quando non c’è stata convergenza su Bertolaso, io ho offerto di ritirare la mia candidatura, chiedendo però di guardare ad una larga alleanza. Marchini mi ha subito offerto di entrare nella sua coalizione; dalla Meloni, invece, non ho nemmeno ricevuto risposta. E adesso è la stessa che chiede favori in difesa di Stefano Fassina».Però non si può negare che la storia personale di Marchini è molto lontana dalla sua. Il dna non conta più?«Se vogliamo sottilizzare, Marchini non mai votato Pci, ma per il Partito Repubblicano. Se poi parliamo di storia familiare, ricordiamo che con Marchini è candidata anche Alessandra Mussolini. Allora direi che, se nella stessa coalizione trovano casa il candidato con i nonni comunisti e la capolista di Forza Italia nipote del Duce, allora c’è posto anche per i figli della Destra di Storace. Tra l’altro, Marchini ha un profilo civico e post-ideologico, con lui non si è mai parlato di passato, ma solo del futuro di Roma».A proposito della Capitale, qual è la vostra idea di città?«La nostra alleanza con Marchini è soprattutto programmatica. Nel decalogo che abbiamo sottoscritto, gli obiettivi amministrativi sono di riportare la pulizia in una città deturpata, completare la metropolitana e iniziare un serio progetto di riqualificazione delle periferie. Dal punto di vista politico, puntiamo a rendere la Capitale autonoma rispetto alla Regione, ad un accesso prioritario per gli italiani al sistema di welfare capitolino e soprattutto alla chiusura dei campi rom».Per i sondaggi la candidata da battere è Virginia Raggi. E se tutto filasse secondo pronostico e i 5 Stelle prendessero il Campidoglio?«Allora sarebbe il definitivo disastro economico per Roma: ci sarebbe il blocco di ogni attività e tutti i potenziali investitori fuggirebbero. La Raggi sembra una di quelle innamorate mai contente che dicono no a tutto: no alla metropolitana, no allo stadio, no alle Olimpiadi. Ma ricordiamoci che senza investimenti non c’è scampo per questa città. I grillini intercettano il voto di protesta che pure è molto forte, soprattutto dopo lo scandalo di Mafia Capitale, ma proprio perché veniamo da una fase politica così difficile c’è bisogno di mettere al volante qualcuno che sappia guidare la macchina amministrativa, non un neofita».A proposito di scandali giudiziari, sempre più spesso nell’occhio del ciclone finiscono gli amministratori locali. E’ vero che l’abuso d’ufficio è il grimaldello delle procure per fermare i sindaci?«Esiste un modo per evitare di finire incriminati per abuso d’ufficio: basta non commetterlo. I sindaci non sono martiri, ma persone al servizio dei cittadini. Io, che pure ho subìto due processi quando ero amministratore e da entrambi sono uscito assolto, considero un martirio solamente il procedimento a mio carico per vilipendio nei confronti dell’allora Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. In questo caso sì mi sento un martire, finito davanti ai giudici per aver commesso reato d’opinione. Aspetto la sentenza d’appello, comunque».Nessuna persecuzione giudiziaria contro gli amministratori, quindi?«Nessunissima. Si tratta di singoli episodi isolati, non esistono piani sovversivi della magistratura».Ma un amministratore dovrebbe dimettersi, dopo aver ricevuto un avviso di garanzia?«Guardi, io mi sono dimesso da Ministro della Repubblica nel 2006 per un articolo di giornale. Personalmente, credo che le dimissioni vadano date nel momento in cui qualcosa minaccia di infangare l’istituzione che si rappresenta. Io ho vissuto il calvario delle dimissioni e del processo e dopo sette anni e mezzo ne sono uscito innocente. E ora discutiamo delle dimissioni del sindaco di Livorno?»Secondo lei dovrebbe dimettersi?«Io mi limito a ricordare che Nogarin si è giustificato dicendo di aver assunto “in buona fede” 33 precari. Singolare è che anche Ciriaco De Mita, quando veniva accusato di clientelismo, diceva che stava assumendo dei precari».Dunque il giudizio politico deve arrivare prima del giudizio del tribunale?«Il dubbio sulla fondatezza dell’accusa rimane sempre, fino alla conclusione dell’iter processuale. Io non dico che ci si dovrebbe dimettere sempre e a prescindere. Quel che è certo, però, è che non può essere il diretto interessato a decidere se dimettersi o meno».E quindi come lo si decide?«Io penso che lo lo si veda dagli sguardi delle persone che ti circondano, dalla reazione dell’opinione pubblica, dall’aria che si respira negli uffici dell’amministrazione che si rappresenta. Però per capirlo servirebbe una sensibilità istituzionale di cui, purtroppo, l’attuale classe amministrativa sembra essere carente».