Si chiama Emanuele Macchi, è un signore di una sessantina d’anni e ha un passato, come si dice, “burrascoso”. E’ stato nei Nar, che erano la brigata terrorista dei fascisti. Si è fatto un bel po’ di anni in prigione, sedici per l’esattezza. Poi è uscito, ha provato a fare lo skipper me gliel’hanno vietato e allora - sembra - si è messo a trafficare droga. Lo hanno beccato di nuovo. Di nuovo dentro. Però ora sta malissimo. Ha avuto un cancro, varie malattie degenerative, è zoppo, ha perso la vista ad un occhio. Nell’ultimo anno ha perso quasi 26 chili: ne pesava 70 e ora ne pesa 44. E’ moribondo in una cella di Marassi. Ci sono varie perizie che lo dichiarano incompatibile col carcere. Però non riesce ad ottenere l’ordine di scarcerazione. La moglie, Marinella, ha scritto una lettera drammatica e furiosa, nella quale racconta l’odissea di Macchi e chiede che si ponga fine alla crudeltà assurda della pena.Sappiamo che è difficile trovare difensori a un militante fascista che ha usato la violenza e il terrore per le sue battaglie politiche. Scrive Marinella: «Un pregiudicato, un evaso, un delinquente, un condannato, uno che non ha mai chiesto scusa alle autorità». Benissimo, però la legge è uguale per tutti. Anche la Costituzione. E la Costituzione vieta pene contrarie al senso di umanità. Macchi deve essere scarcerato.Signor Direttore,invierò a lei e ad altri direttori di testate questa mia lettera, sperando che qualcuno di voi, malgrado giornalista, uomo di potere, autorità mediatica, o qualsiasi cosa siate, abbia il coraggio e la ragione per dare seguito a questa mia denuncia.Sono la moglie di un detenuto ristretto a Marassi, Genova.Non è un detenuto come tutti gli altri. Ha una storia antipatica, scabrosa, sgradevole. Il suo passato è costellato di altre detenzioni.È, per il pubblico che vi legge, un pregiudicato, un evaso, un delinquente, un condannato, uno che non ha mai chiesto scusa alle autorità.I suoi sedici anni di prigione li ha scontati in silenzio e dignità.Ha pagato il suo “debito” con il vostro stato, ma rimane a tutt’oggi una mela marcia, un pericolo sociale, un pregiudicato pericoloso.Dopo quei sedici anni, ne sono trascorsi altri 15 di vita sociale - normale, e ora, di nuovo, è incappato nelle maglie della legge degli uomini. Ed eccoci di nuovo al punto di partenza.Colpevole o non colpevole, la vostra legge lo ha di nuovo condannato. E di nuovo sconta la sua pena in silenzio e dignità.Ma è intervenuto un fatto nuovo questa volta: la malattia.Lui è già tutto “rotto” quando entra in carcere: pregresso cancro squamocellulare asportato alla testa, cecità assoluta all’occhio sinistro, gamba destra ridotta di quattro centimetri con conseguente difficoltà di deambulazione, osteomielite, discinesie e sospetta malattia demielinizzante, riconosciuto invalido al 100% dall’Inps.Entra in carcere nel settembre 2014; sono passati un anno e otto mesi ad oggi. Pesava 70 kg, ora ne pesa 44!Io lo vedo mensilmente perché vivo in altra città, ed ogni volta lo trovo in condizioni peggiori.È su sedia a rotelle, non cammina più, il braccio sinistro è immobilizzato, ha le piaghe da decubito, sviene durante i colloqui.Non ricorda le cose dette un attimo prima, è pieno di lividi ed ematomi, il volto una maschera di dolore e sofferenza.Cade di continuo. Una volta lo trovo con un occhio nero, un’altra con i punti sullo zigomo, non riesce più a nutrirsi, soffre di disfagia e forse è anoressico.Le perizie si susseguono incessanti.Sclerosi multipla? Malattia demielinizzante? Sindrome di Tourette? Depressione maggiore? Malattia neurologica?Compatibile? Incompatibile?Qualcuno dice sì, qualcuno (pochi) dice no, qualcuno non si pronuncia e vigliaccamente continua lo stolto e colpevole gioco degli “accertamenti-diagnostici”.Questo è il quesito “giuridico-ottuso” cui è sottoposto da dieci mesi!Le perizie alla fine si pronunciano per l’incompatibilità con il regime carcerario. E, il giudice che le aveva richieste e promosse, si “sente in dovere di disattenderle” e rigetta il differimento di pena.Così ha preso per i fondelli tutti quanti noi: mio marito che nel frattempo, si aggrava,  (il primo incarico risale al 25 novembre) i medici incaricati, i consulenti da noi nominati e pagati, i legali che lavorano al caso e noi familiari.Le condizioni di salute di mio marito peggiorano a tal punto che la stessa direzione sanitaria del carcere richiede un ricovero urgente il tre maggio scorso. Dopo quattro giorni lui è ancora in prigione in totale assenza di cure, neanche una flebo…. in barba all’ “urgenza” dichiarata dai sanitari.Tutto ciò perdendo di vista il più elementare degli accertamenti, cioè quello obbiettivo.Quello che io vedo, quello che tutti possono vedere: cioè un malato. Una persona sofferente, dolorante e quasi completamente inabile.Andatelo a vedere com’è ridotto mio marito. Abbiate il coraggio di scattargli una foto e paragonatela a quella di quindici mesi fa!Ho bisogno forse io della “diagnosi clinica” per capire che chi amo è gravemente malato?C’è bisogno di quel “nome” della malattia per certificare che un essere umano sta per morire?Queste sono sofisticazioni per menti perverse, non per quelle sane!Io vedo sfuggirgli la vita dal corpo mese dopo mese, giorno dopo giorno.Una tortura per lui! Una tortura per me!Marinella