Nella magistratura si è aperto lo scontro. A livello altissimo. Il campo di battaglia è il Csm, i “combattenti” abitano dentro e fuori dal Csm. La posta in gioco è grande. E’ l’idea stessa della divisione dei poteri. C’è un pezzo della magistratura che chiede indipendenza ma non riconosce l’indipendenza degli altri poteri. E’ contraria alla divisione dei poteri classica nello stato liberale. Ed esprime questa sua linea in forme diverse. L’Anm, guidata da Davigo (che ha messo in minoranza le componenti più moderate e democratiche) dà battaglia sostenendo che tutta la politica è corrotta e per questo non è legittimata a governare. La corrente di “Area”, guidata in queste ore dal consigliere del Csm Morosini, punta invece allo scontro diretto e ad armi pari con il potere politico. Sfidandolo sul suo terreno. E gettando il peso dell’autorità e della potenza giudiziaria della magistratura, nella battaglia referendaria e in genere nello scontro elettorale. Morosini ha anche indicato la strategia: battere Renzi, disarcionarlo.Il copione, forse, è vecchio. La novità sta nel fatto che, per la prima volta, dentro la stessa magistratura si apre una crepa molto grande e si apre in modo palese. Questo è un fatto storico. Le dichiarazioni,  (durissime verso il consigliere Morosini) del primo presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Canzio (che è la massima autorità della giurisdizione) rompono il muro di silenzi che finora aveva tenuto nascosto il dissenso.Su queste colonne lo abbiamo già scritto varie volte (sebbene esistiamo da meno di un mese): non è possibile una riforma seria della giustizia, in senso costituzionale, se la parte più moderna e liberale della magistratura non si fa coraggio ed esce dal torpore o dalla rassegnazione. I magistrati sono i più interessati a una riforma seria, che ristabilisca gli elementi essenziali dello Stato di Diritto e che restituisca ai giudici la propria funzione.Finora però solo l’Anm ha avuto voce. Da ieri, forse, le cose cambiano un po’.E paradossalmente il merito di questo cambiamento è da assegnare anche al dottor Davigo e alle sue provocazioni. In seguito alle quali lo scontro tra quello che viene chiamato “il partito dei Pm” e il governo si è fatto così aspro da far saltare tutti gli equilibri. E ha aperto preoccupazioni serie anche ai vertici delle istituzioni.C’è stato l’intervento del vicepresidente del Csm, Legnini, poi le proteste di Fanfani, e ora si è arrivati all’altolà di Legnini e poi di Giovanni Canzio. C’è ancora un nome all’appello. Mattarella.Chiederà le dimissioni di Morosini? Può darsi. Il problema è che le dimissioni di Morosini (che ha solo commesso l’errore di esporre apertamente le strategia di quel pezzo di magistratura “militante” della quale fa parte) non porteranno certo a una pacificazione. Il partito dei Pm sicuramente non batterà in ritirata, e la battaglia rischia di travolgere tutta la macchina della giustizia.Come si fa per evitare il collasso? E’ possibile trovare un punto di armistizio senza procedere a una riforma radicale della giustizia, e a una definizione netta (e compatibile con la Cstituzione), di competenze, poteri, meccanismi dell’azione penale e del processo?La risposta deve darla la politica. C’è bisogno di una politica meno lamentosa e più decisa. Che si assuma le sue responsabilità, mostri coraggio, e non baratti la propria indipendenza e la propria autonomia (anche dal potere giudiziario) con un poco di indulgenza.