Va bene tutto. Gli stanziamenti, recentissimi, per la cultura. Il via libera la prossima settimana alle Unioni civili con tanto di voto di fiducia (e molti saluti a Ncd) con annesso via libera di un nugolo di deputati di FI che comunque annunciano voto favorevole. Perfino il sì del tribunale dell’Aja (ma l’India nicchia) al trasferimento in Italia del marò Salvatore Girone: tutto serve a Matteo Renzi per cucirsi addosso l’abito dello statista e del premier che è capace di far cambiare pelle all’Italia. E’ tutto fieno in cascina per la madre di tutte le battaglie politiche: il referendum costituzionale di ottobre, quando si voterà sulla riforma del Senato. E anche sul futuro politico del premier. Renzi sa bene che si tratta di un crocevia fondamentale e dunque prepara il terreno fissando l’obiettivo della costituzione di diecimila comitati per il Sì «ciascuno composto da un minimo di 10 ad un massimo di 50 persone», sparsi su tutto il territorio nazionale.Ma più che l’aspetto organizzativo, comunque decisivo, quel che conta è il messaggio da inviare agli elettori. Il presidente del Consiglio lo ha scelto: chi vota a favore della riforma è per il cambiamento; chi si oppone appartiene all’Italia del no e della conservazione. Un discrimine netto, in linea con la struttura del meccanismo referendario che abolisce i chiaroscuri e impone una scelta secca e priva di fronzoli. Basterà a convincere gli italiani?Certo si tratta di una parola d’ordine che trova la sua forza nell’immediatezza della comprensibilità. L’Ndc Fabrizio Cicchitto lo ha capito subito e infatti plaude alla scelta «tra innovazioine e conservazione». Anche perché consente ai moderati di non appiattirsi sulla celebrazione del leader. Lo hanno capito anche dalle parti di Forza Italia, che infatti attaccano alzo zero con Renato Brunetta che parla di «schiforme» e soprattutto con il responsabile organizzativo azzurro, Gregorio Fontana che in una lettera inviata a deputati, senatori, europarlamentari, coordinatori regionali e provinciali delle principali città italiane con la quale si impone un brusco alt ad ogni iniziativa difforme dalla linea ufficiale del partito, schierata sul No: «Vi ricordiamo - avverte Fontana - che la scelta di Fi di opporsi alla riforma costituzionale è politicamente impegnativa per ogni aderente al nostro Movimento. Chiunque fra i soci del vostro territorio si facesse promotore ad iniziative per il sì, o vi partecipasse, anche a titolo personale, si porrebbe dunque al di fuori della linea decisa da Fi e nei suoi confronti potrebbero venire assunti i provvedimenti disciplinari conseguenti». Mentre i radicali insistono sulla loro linea di spacchettare il referendum in più quesiti e da votagli su ciascuno: «Non c’è spazio per plebisciti personali», annota il segretario Riccardo Magi: «Alcune modifiche della Costituzioneriscontrano un consenso dell’80 per cento, altre solo del 30. Imporre ai cittadini di votare una modifica così disomogena che interessa ben il 37 per cento della Costituzione, violerebbe il principio della libertà di voto».Intanto però Renzi incassa il via libera di uno dei competitor interni: Enrico Rossi, presidente della Toscana che al congresso porrà la sua candidatura alla segreteria, annuisce: Voterò sì. Vengo da una storia, quella del Pci, che era favorevole fin dalla Costituente al monocameralismo».La realtà, tuttavia, è che il capo del governo ha anche altre frecce al suo arco per rimpinguare il bottino comunicativo in attesa di riempiere la sua feretra con la vittoria nelle urne. A partire dal richiamo alla sua esperienza di successo con le primarie: «Non sarei mai arrivato a palazzo Chigi senza una straordinaria esperienza di popolo». Per finire con colpo sul terreno più delicato: l’interesse generale messo sopra a quello dei singoli. «Con il referendum la politica dà un grande segnale: rinuncia alle poltrone. Ora aspetto gli altri, dai sindacati agli imprenditori. Fatelo anche voi se ne avete la forza ed il coraggio».