Non hanno smesso di rubare ma solo di vergognarsi». Con questa frase da ayatollah dell’anticorruzione Piercamillo Davigo proclama la guerra santa contro la politica. In un’intervista al Corriere della Sera il presidente dell’Associazione magistrati lancia un lungo anatema contro i partiti e non solo. Rincara la dose in un intervento all’università di Pisa: «La classe dirigente di questo Paese quando delinque fa un numero di vittime più elevato di qualunque delinquente da strada. E a noi dicono che abusiamo della custodia cautelare: sono senza vergogna».A dissociarsi per primo è uno dei predecessori di Davigo alla guida dell’Anm, il pm Luca Palamara. Ma la censura più importante arriva dal vicepresidente del Csm Giovanni Legnini: «Le dichiarazioni di Davigo rischiano di alimentare un conflitto di cui la magistratura e il Paese non hanno alcun bisogno, tanto più che con il dialogo si sta tentando di ottenere riforme e mezzi per una giustizia efficiente». Critiche da tutti i partiti Pd compreso, solidarietà solo dal M5s. Anche la presidente dem della commissione Giustizia Donatella Ferranti dice: «Parole gravi».Ma siamo sicuri che le correnti della magistratura volessero proprio questo? E cioè un capo dell’Anm che lancia una sorta di jihad contro i politici? C’è da dubitarne. E un segnale arriva di prima mattina, quando il Corriere della Sera con l’intervista a Piercamillo Davigo ha ancora l’odore della rotativa. «Non è il momento di alimentare un inutile scontro fra politica e magistratura», dichiara Luca Palamara, pm romano e attuale consigliere togato del Csm. Non un magistrato qualsiasi: Palamara è stato predecessore di Davigo, ha ricoperto la carica di presidente del sindacato dei giudici dal 2008 al 2012. Proviene da una corrente centrista, Unicost. Interviene sulla Rai, a Unomattina, trasmissione popolare. La sua è una presa di distanze molto pesante. Davigo è stato eletto da poco dal Consiglio direttivo centrale dell’Anm, anche grazie ai voti della corrente di Palamara. A poche settimane dall’incoronazione, l’intervista-manifesto è già sconfessata come eccesso non condivisibile.Viene allora da chiedersi: com’è possibile che l’ex pm di Mani pulite sia sfuggito al controllo delle correnti maggiori, quelle che presidiano da anni il sindacato dei giudici? Ha preso una valanga di voti, ecco come. E ci è riuscito in qualità di leader di una piccola corrente, nata da poco più di un anno: Autonomia e indipendenza. Gruppo nato per scissione dalla classica corrente “di centrodestra”, che si chiama Magistratura indipendente. Davigo era da tempo in dissenso con il leader indiscusso di Mi, Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia. Si è creato il suo “partito” autonomo, che per molti colleghi è una congrega un po’ reazionaria. Ma il punto non è il giudizio sul tratto culturale: il punto è che quel piccolo gruppo ha avuto un successo strepitoso. Vuol dire che la base della magistratura si sente in buon numero vicina alle posizioni dell’ex uomo del pool. Oppure che questa base vede nelle posizioni estreme, conflittuali di Davigo l’occasione di rappresentare un malessere profondo.E di questo malessere che cova in una larga fetta del mondo togato si erano raccolti segnali di vario tipo, negli ultimi tempi. Forse se ne possono anche comprendere le ragioni: innanzitutto, la fine della guerra sulla giustizia con Berlusconi è come se avesse lasciato nudi i magistrati. Secondo diverse statistiche la loro popolarità è in costante diminuzione: basti pensare ai dati dell’Eurispes, secondo cui ad avere fiducia nei giudici è si e no un quarto degli italiani. Inoltre il conflitto con il centrodestra berlusconiano occultava i contrasti interni. Oltre a spingere una parte della tifoseria politica a parteggiare apertamente per i pm. Quello schema è cambiato: c’è nel Paese un odio viscerale verso i corrotti, il che però non vuol dire che esista amore incondizionato per i pubblici ministeri. A questo si aggiunga che i giudici qualche colpo da Renzi l’hanno dovuto incassare. Hanno tentato inutilmente di opporsi alla responsabilità civile che, sempre nell’intervista ad Aldo Cazzullo, Davigo deride («l’unica differenza è che ora pago 30 euro in più l’anno per la mia polizza, questo la dice lunga sulla ridicolaggine delle norme»), per poi ammettere che la nuova legge un po’ di fastidio lo crea. Si sono visti ridurre le ferie di un terzo: da 45 a 30 giorni; l’altro ieri il Csm ha dovuto escogitare un calcolo per recuperarne 6, con una delibera interpretativa secondo cui sabati incastrati nei periodi di vacanza non si scalano dal monte ferie.Sono tante piccole scalfitture, incisioni nell’intangibilità della funzione giurisdizionale. Mettete la perdita di popolarità insieme con queste pur lievi afflizioni e capite perché il grosso dei magistrati è un po’ incavolato e vota Davigo. E però, se Davigo è popolare e Palamara già lo sconfessa, vuol dire appunto che le correnti principali dell’Anm non sanno più dare risposte a quel malcontento di fondo. Un problema per la categoria, forse un vantaggio per Renzi. Che se non altro sa di poter trovare, in questa stranissima guerra santa, dei varchi in cui infilarsi e colpire. In fondo è questo il senso delle reazioni dem: Walter Verini dice che Davigo «è solo sul ring a tirar cazzotti», il responsabile Giustizia David Ermini fa notare che «le parole di Davigo fanno paura ai magistrati». Solo il cinquestelle Luigi Di Maio esprime solidarietà al capo dell’Anm. Il campo è aperto, la guerra santa pure. Con possibili esiti che il precedente della stagione berlusconiana non aiuta assolutamente a prevedere.